Il leader pentastellato fa un passo indietro ma non cambia idea su Forza Italia e niente governi tecnici

A due mesi dalle elezioni e a poche ore dalla terza e definitiva chiamata al Colle, arriva il passo indietro di Luigi Di Maio che offre a Matteo Salvini l'ultima carta: scegliere come premier un politico terzo e formare così una maggioranza di governo che realizzi il programma. Ma quale programma? Quello dei Cinquestelle, almeno per due punti su tre. Vale a dire: reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero e una qualche forma di legge a contrasto della corruzione (questa volta Di Maio non nominato il conflitto di interessi). A una condizione però, che il passo indietro sia fatto anche dal convitato di pietra Silvio Berlusconi su cui questa volta Di Maio spende parole meno dure, consapevole che la parola definitiva di Salvini arriverà solo dopo il vertice del centrodestra a Palazzo Grazioli.

Con questo ennesimo colpo di scena, Di Maio riesce a scaricare ogni eventuale responsabilità del fallimento di dare un governo politico al Paese sulle spalle di Salvini con una mossa che, per certi versi, ricorda quella che una parte del Pd avrebbe voluto fare con lui: tavolo comune, ma paletti rigidi. Non è la prima volta che il M5s rivisita strategie Dem, ma con maggiori successi (vedi il #senzadime in chiave anti Nazareno bis). "Se il punto è realizzare qualcosa per gli italiani, un programma elettorale, e l'ostacolo sono io – dice Di Maio di fronte alle telecamere di Rai3 -, le persone devono sapere che quell'impuntatura non c'è. Se è per il bene del Paese, io faccio un passo indietro. Dico a Matteo Salvini: sediamoci a un tavolo e scegliamo insieme un presidente del Consiglio a condizione che sia un politico". Nel caso l'intesa non si trovi, Di Maio ribadisce il suo 'no' a un governo di tregua o tecnico o del Presidente, che metterebbe a rischio la democrazia rappresentativa perché "11 milioni di elettori si sentirebbero traditi". Piuttosto, il capo politico dei pentastellati preferirebbe tenersi Gentiloni e arrivare al voto il prima possibile. Un esecutivo del Presidente non avrebbe la maggioranza in Parlamento – è il ragionamento di Di Maio -, visto il doppio rifiuto di M5S e Lega. "Noi non votiamo la fiducia a un governo tecnico" per cui, se anche Salvini è coerente con quanto fin qui detto, un esecutivo del Presidente "non ha i numeri": capitolo chiuso. "Non ho capito una cosa il Presidente vorrebbe mandare alle Camere un governo pur sapendo che non avrebbe la maggioranza? Sarebbe un governo comunque in carica per gli affari correnti che potrebbe fare comodamente il Governo Gentiloni", puntualizza Di Maio che ribadisce come per lui la priorità sia votare prima possibile.

Ma il piano B di Di Maio c'è e passa di nuovo, in qualche modo, per il Pd di cui il M5S avrebbe bisogno per sostenere Gentiloni fino al ritorno anticipato alle urne e approvare nel frattempo i provvedimenti urgenti. Elezioni che – con Gentiloni ancora in carica – sarebbero certamente più vicine che con un governo di tregua. E che l'ipotesi non sia così raminga lo dimostra la riflessione che il leader Cinquestelle fa sulle prossime scadenze economiche dell'Italia. "C'è tutta la disponibilità del M5s a tenere i conti in ordine – spiega – I regolamenti parlamentari ci hanno sempre permesso di affrontare le emergenze economiche e ci sarebbe la massima disponibilità con l'attuale ministro dell'Economia ad affrontare le emergenze. Questo governo Gentiloni è in carico solo per gli Affari correnti, ma ha fatto dei decreti legge in questi giorni. Io non sono d'accordo con il 99% delle cose fatte dal governo Gentiloni, però credo ci siano tutte le condizioni per scongiurare l'aumento dell'Iva". E, a domanda specifica se preferisca continuare con Gentiloni a un governo del Presidente, replica: "Io spero nelle elezioni prima possibile, ma non vedo condizioni per creare un governo che non sia politico". Se poi saltasse ogni tentativo, allora non resterebbero che le urne. A giugno o a luglio, ma anche a ottobre. Perché, come riconosce lo stesso Di Maio, "ora bisogna fissare in una legge quello che il Def prevede, sarà una manovrina o a luglio, o a ottobre, per scongiurare l'aumento dell'Iva".

Un cambiamento notevole nell'atteggiamento pentastellato che passa anche attraverso la presa di distanza dal fondatore Beppe Grillo, di recente di nuovo propenso al referendum sull'euro e liquidato da Di Maio come un "libero pensatore".

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