Milano, 21 nov. (LaPresse) – Allo stesso tempo le “chat estrapolate dal telefono” di Armanna mostrano “interessenze limacciose” con testimoni e protagonisti del processo, anche sulla “deposizione da rendere a dibattimento”. In particolare la frase “but then i need my money back” (“voglio indietro i miei soldi”), cancellata da Armanna in una “chat contraffatta” consegnata ai pm oscurando il “passaggio fondamentale” e poi individuata da Storari. Una “circostanza” di cui i magistrati erano stati resi “edotti” e che “avrebbe avuto un peso rilevante nell’economia del processo” anche con gli “estremi per trasmettere gli atti alla Procura per intralcio alla giustizia”. Gli imputati, nel rispondere su questo episodio, hanno sostenuto che le lamentele derivassero dalla mancata consegna dei “documenti compromettenti” dei “servizi di sicurezza nigeriani” in grado di provare “l’avvenuta corruzione dei dirigenti Eni”. Risposte che avrebbero “eluso il vero nocciolo della questione” sostenendo spiegano i giudici di Brescia, gli stessi che hanno condannato Piercamillo Davigo nella vicenda dei verbali segreti di Piero Amara. Non serve “stabilire” se i testimoni “fossero stati effettivamente pagati” per “dire il falso” ma solo la “circostanza che non siano stati messi a disposizione delle difese e del Tribunale”.

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