Coverciano, Iaquinta: Studio da mister, il mio modello è Spalletti

Coverciano, Iaquinta: Studio da mister, il mio modello è Spalletti

Di Andrea Capello

Coverciano (Firenze), 31 lug. (LaPresse) – Dal campo alla panchina. Fra i partecipanti al corso promosso a Coverciano dall’Aic per ottenere il patentino di allenatore di base c’è anche Vincenzo Iaquinta. Il campione del mondo nell’indimenticabile notte di Berlino nell’estate 2006 dopo tanti infortuni e l’addio al calcio giocato vuole ora intraprendere una nuova carriera. Questi i suoi sogni per il futuro raccontati a LaPresse.

Perché ha deciso di intraprendere questa nuova avventura da allenatore?

“Per tutta la vita ho sempre giocato a calcio e mi mancava. Sono stato due anni fermo e mi ero stufato. Con questo corso ho l’opportunità di imparare tante cose, soprattutto per quanto riguarda il mondo dei giovani, la base fondamentale. Se sarei un allenatore da tuta o da giacca e cravatta? Con i giovani inizierei sportivo, poi se un giorno dovessi arrivare ad alti livelli anche una divisa ci starebbe bene (ride, ndr)”.

Ha un allenatore punto di riferimento al quale si ispira?

“In carriera ne ho avuto tanti molto bravi. Dal punto di vista tattico direi Spalletti che mi ha allenato ad Udine, è stato quello che mi ha fatto esplodere. Il numero uno per quanto riguarda la gestione del gruppo, invece, è sicuramente Lippi. Ti infonde una carica eccezionale. Comunque in questo mestiere credo che ognuno debba metterci qualcosa di suo”.

Qual è il primo pensiero che le viene in mente tornando alla notte dove si è laureato campione del mondo?

“E’ sempre il rigore di Grosso. Io ero nel cerchio di centrocampo abbracciato ai miei compagni e quando la palla è entrata ho iniziato a correre all’impazzata, senza avere la minima idea di dove stessi andando. E’ stata un’emozione indescrivibile. Lo stesso vale per la rete che ho segnato nella partita di esordio al Mondiale, contro il Ghana. Devo dire grazie a Lippi che mi ha dato fiducia. Credo di averlo ripagato”.

Come ricorda la sua avventura alla Juventus?

“Sono arrivato dall’Udinese che la società era appena stata promossa dalla Serie B. I primi due anni non sono stati neanche male, poi dal terzo è arrivato un calo netto a causa dei tanti infortuni e della mentalità sbagliata. Successivamente la società ha dovuto fare delle scelte perché la Juve settima non si era mai vista. Conte? Il suo arrivo ha cambiato tutto a livello emotivo. Nel 2011 stravedeva per me, poi ho avuto tanti problemi fisici e sono andato sei mesi a Cesena per disperazione perché volevo giocare. Al rientro sono stato fuori rosa. Forse meritavo un po’ più di rispetto, ma se non facevo più parte del progetto era inutile allenarsi in gruppo”.

Una squadra ed un compagno che le sono rimasti nel cuore?

“Direi l’Udinese ed Antonio Di Natale. Siamo andati in Champions, abbiamo fatto la storia. Totò è incredibile. Mi spiace che non si sia misurato con una grande realtà. Mi sarebbe piaciuto vederlo all’opera perché quello è il suo livello ma lui ormai si è legato ad Udine. Ha fatto una scelta di vita”.

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