Milano, 4 giu. (LaPresse) – Da bomber adorato ad allenatore flop. Potremmo dire: ‘E’ il calcio, bellezza’. E’ già finita l’avventura di Filippo Inzaghi sulla panchina del Milan, esonerato ad un anno dal suo arrivo a Milanello da allenatore. Il club ha comunicato, “con grande dispiacere” all’ex attaccante di averlo sollevato dall’incarico e il cambio di guida tecnica per la prossima stagione. Al centro sportivo rossonero ha passato ore e ore in questi mesi, ma non è bastato per far cambiare idea al presidente Silvio Berlusconi dopo il decimo posto.
Adriano Galliani ha sempre sostenuto ‘SuperPippo’: è stato l’ad il suo primo sponsor per fargli fare il salto triplo dalla Primavera, dopo la vittoria del Torneo di Viareggio, fino alla panchina della prima squadra. Dopo i 73 gol in 202 partite in rossonero, alcuni dei quali pesantissimi come la doppietta nella finale di Atene del 2007 contro il Liverpool, Inzaghi decide di passare dall’altra parte della barricata. Una vita di schemi, dubbi di formazione e ballottaggi da risolvere prima di mandare in campo i ragazzi. Dopo una buona stagione da tecnico degli Allievi, Inzaghi va in Primavera e vince a Viareggio. Galliani stravede per lui, Berlusconi gli dà fiducia ed ecco il passaggio in Serie A.
L’esordio il 31 agosto con la Lazio. Il Milan vince 3-1 a San Siro con la Lazio. El Shaarawy, Menez e Honda fanno ripartire la squadra. Che attende e poi fa male in contropiede. Poi i rossoneri vincono a Parma con un pirotecnico 5-4. Ma è un fuoco di paglia: nelle successive tre partite, raccoglie solo due punti contro Juventus, Empoli e Cesena. Le prime critiche arrivano, ma ‘Pippo’ va avanti per la propria strada. Nel giorno di sant’Ambrogio, il 7 dicembre, dopo Genoa-Milan 1-0, Inzaghi se la vede brutta e rischia di fare anzitempo le valigie.
La sua reazione? Vince 2-0 in casa con il Napoli prima di Natale e pareggia 0-0 contro la Roma il giorno dell’Epifania. Il culmine della stagione rossonera. Poi il crollo. A gennaio si parla ancora di esonero, perché il Milan pareggia con il Toro, perde in casa con il Sassuolo e viene cacciato dalla Lazio in Coppa Italia, dopo il ko in campionato. Si fanno tanti nomi: dall’allenatore dell’Empoli Sarri al mister della Primavera Brocchi. Ma Inzaghi resta. Una fiducia a tempo. Le statistiche non gli danno ragione. Proprio i numeri a cui teneva molto da calciatore, tanto da ricordare tutti i suoi gol, lo tradiscono. A cavallo tra febbraio e marzo, un altro spavento per ‘SuperPippo’. Succede tutto dopo il pareggio al Bentegodi contro il Chievo e il 2-2 al fotofinish con il Verona a San Siro la settimana dopo. I tifosi criticano le sue scelte. Le giudicano paradossali: il Milan di uno dei più grandi attaccanti della storia rossonera è difensivista.
Il gioco non piace e i risultati non arrivano. L’allenatore parla spesso del problema infortuni, ma anche al rientro degli acciaccati le cose non cambiano. Il finale di stagione è dietro l’angolo e il Milan finisce su un piano inclinato: dritto verso il decimo posto finale. Altro che sogno Champions o Europa League: 52 punti, 12 sconfitte in 38 partite e 56 gol subiti. Sembra passata un’era geologica dai tempi del Milan di Sacchi e Capello. Insomma, l’esperienza di Inzaghi è al capolinea. “Sarò il Ferguson del Milan”, diceva Pippo a fine novembre. Un sogno svanito. I rossoneri ripartiranno da Sinisa Mihajlovic.
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