L'intervista di LaPresse a Jorge Coulón: "Quando torno in Italia mi sento a casa"

Erano sulla cupola di San Pietro gli Inti Illimani quando l’11 settembre del 1973, 50 anni fa, seppero del golpe in Cile. Il generale Augusto Pinochet aveva posto fine al governo del primo presidente marxista eletto dell’America Latina, Salvador Allende, proprio mentre loro si trovavano in Europa per una tournée. Rimasero in esilio in Italia per 15 anni. Proprio in quest’anno in cui cade il 50esimo anniversario saranno di nuovo nello Stivale per portare in giro un nuovo album, ‘Agua’, con il cantautore Giulio Wilson: una coincidenza temporale emozionante e un ritorno a casa, racconta a LaPresse Jorge Coulón, tra i fondatori del gruppo cileno. “Torno volentieri e torno a casa mia. Per una ragione: io sono arrivato in Italia che avevo 25 anni e sono tornato in Cile che ne avevo 40, allora il mio farmi cittadino, adulto, l’ho vissuto in Italia, fino in fondo. Ho tre figli nati in Italia, di cui uno vive ancora a San Sepolcro. Mi sento molto italiano culturalmente“.

“Siamo una cosa sola con gli altri e con la Terra”

Non è la prima volta che torna in Italia in concerto Jorge Coulón, l’ultima è stata l’anno scorso per il tour ‘Vale la pena’, sempre con Wilson. A 50 anni di distanza dal golpe che ha segnato tutta la storia degli Inti Illimani, oltre che del Cile e non solo, “uno dei rischi della memoria è quello di fare della nostalgia“, ma “penso che si debbano processare questi sentimenti e farli diventare del materiale per continuare a vivere. E per vivere anche le sfide che abbiamo davanti oggi, come Cile, Italia, società, esseri umani”. Quali dunque? Prima fra tutte l’ambiente. Ma per loro che l’ambiente lo portano nel nome – ‘Inti’ nella cultura Inca è il dio sole, mentre ‘Illimani’ è un monte delle Ande – non si tratta solo di emissioni. “Bisogna capire quello che avevano capito gli indigeni del mondo intero, che siamo una sola cosa con gli altri e con la Terra“, dice Coulón a LaPresse. “Il tema è appunto come l’acqua, la democrazia, l’aria pura, tante cose, cominciamo a valutarle quando ci mancano. Siamo adesso in un problema serio di siccità, ma non soltanto d’acqua: di valori, di convivenza, penso che stiamo andando contro un iceberg e non ci sono zattere abbastanza per tutti. L’idea che vedo dietro a questo tour ha a che fare con la speranza: non siamo sprofondati ancora, siamo ancora sulla barca; speriamo non sia il Titanic, siamo su una nave che ci assomiglia moltissimo, però non siamo ancora andati a urtare l’iceberg, forse abbiamo il tempo di cambiare rotta“. “Penso che ci sia bisogno di riprendere in qualche modo coscienza che dobbiamo vivere in comunità”.

“‘El pueblo unido’ dice una grande verità, ma non è una ricetta”

La dittatura ha segnato la storia degli Inti Illimani rendendoli un simbolo per molte generazioni, ma “non siamo solo una testimonianza di un’epoca o di una generazione”, è la convinzione di Coulón. Non indossano più gli iconici poncho rossi che contraddistinguevano i partecipatissimi concerti degli anni ’70 e la composizione del gruppo è cambiata a più riprese da allora. “I poncho ce li siamo tolti perché era diventata un po’ una moda, al punto che nel libro racconto che si stava pensando di lanciare una linea di moda andina in Inghilterra, allora abbiamo capito che il significato profondo che aveva per noi portare il poncho si era molto diluito”, dice riferendosi al libro ‘Sulle corde del tempo’ che ha scritto con Federico Bonadonna, edito da Edicola. Ma molti loro brani sono ancora colonne sonore attuali. Un esempio fra tutti ‘El pueblo unido jamas sera vencido’, che accompagnò la rivolta sociale cilena del 2019, il cosiddetto ‘estallido social’ che portò all’avvio della stesura di una nuova Costituzione. “È una canzone capace di galleggiare. L’abbiamo vista diventare un inno mondiale. L’abbiamo vista cantata da gente per le strade adesso in Francia, l’abbiamo sentita cantata in Iran per le donne che si toglievano il velo, nelle manifestazioni in Messico, in Perù, è una canzone che dice una grande verità, però non è una ricetta, non dice come si riesce ad avere il pueblo unido. E questo è il lavoro nostro, di tutti, non nostro come Inti Illimani”, dice Coulón. “Penso che uno dei modi di muovere il timone del Titanic, di farlo andare lontano dall’iceberg, è riuscire a trovare i temi, i sentimenti, i bisogni, che fanno sì che siamo capaci di sintonizzarci sugli stessi bisogni e necessità e non pensare che io, o io con quelli che pensano come me, siamo capaci da soli di guidare questo transatlantico, o transpacifico per non essere eurocentrici”.

“In Cile la sfida imminente è conservare la democrazia”

Parlando nello specifico di Cile, poi, “la sfida imminente è conservare la democrazia“. La vittoria del presidente Gabriel Boric su Kast “è facile dire che è stata una vittoria importante: Boric ha avuto il 56% dei voti, ma bisogna dire che Kast, che è rappresentante netto dell’estrema destra, ha avuto il 44%”, “in quel momento non abbiamo saputo leggerlo e così si è andati avanti un po’ allegramente ignorando che tutti i flussi portano reflussi, che tutti i passi avanti che fa la democrazia comportano anche resistenze fortissime. Allora penso che questo nuovo processo in cui andremo alle urne il 7 maggio (per i consiglieri costituzionali dopo la bocciatura di una nuova Costituzione nel referendum di settembre 2022, ndr) sarà la grande delusione della destra, spero tanto, per provare che neanche loro sono il 60-70% della popolazione”. Il ritorno in Cile dopo l’esilio fu come un “ritorno a Itaca”. “Il nostro dubbio in esilio fu sempre, fra il dubbio e la paura, ‘chissà se in Cile si ricorderanno di noi”, perché “quando siamo usciti dal Cile eravamo un gruppo conosciuto ma non eravamo famosi come Victor Jara”, ma “quando siamo tornati a Santiago c’erano all’aeroporto più di 10mila persone ad aspettarci, c’era un coro a cantare le nostre canzoni lì fuori dall’uscita dei passeggeri, ci aspettavano con questo autobus pieno pieno di ragazzi con le bandiere sul tetto. Una cosa impensabile. Era primavera, era il 18 settembre che è la festa nazionale in Cile ed era un 18 settembre particolarmente bello di primavera”. In questi 50 anni dal golpe “le persone che ho conosciuto sono la cosa più bella che ho fatto“, confida a LaPresse il membro fondatore degli Inti Illimani, citando aneddoti con Gian Maria Volonté, Jorge Luis Borges e Roberto Matta. “Non conosciamo però la storia di Odisseo dopo il suo ritorno a Itaca – sorride – non so se poi sia tornato a visitare Calipso, io quando torno in Italia sento che torno a casa”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata