Intervista allo storico direttore d'orchestra, uomo simbolo dell'Ariston

Al Festival di Sanremo, in questa edizione, è apparso e scomparso in pochi minuti, scatenando l’indignazione della rete. Il maestro Beppe Vessicchio quest’anno ha diretto durante la kermesse solo una delle Nuove proposte, Elena Faggi, eliminata alla prima serata. Il direttore d’orchestra, però, sta seguendo la manifestazione canora e ha un suo parere che spiega a LaPresse.

Maestro, si è parlato tanto di un Festival innovativo dal punto di vista musicale. Lei cosa ne pensa?
 Il nuovo che avanza dobbiamo metterlo nella luce giusta, se è così numeroso rischiamo di inflazionarlo prima che nasca. Se, per esempio, Willie Peyote fosse stato uno dei 4-5 esponenti della nuova linea, avrebbe avuto un risalto più importante, invece si ritrova a fronteggiarsi con coloro che sulla rete hanno avuto straordinari numeri. Al direttore artistico Amadeus direi che ha fatto tanto in questi due anni, ha osato. Secondo me, però, si poteva trovare una misura della quale avrebbero giovato gli artisti stessi.

Quindi Willie Peyote le piace?
Sì, lo vedo un po’ come Elio nel 1995. In quell’edizione l’obiettivo era arrivare ultimi, per riuscire dove non ce l’avevano fatta né Vasco Rossi né Zucchero, che si erano classificati penultimi. Ma giocando sul contrario per stupire e prendere in giro e poi trovarsi nelle prime posizioni è spiazzante. Willie Peyote è un accusatore, lo fa con ironia e attenzione, ma da casa l’hanno capito? Mi ricordo che Elio si chiedeva cosa aveva sbagliato per arrivare a vincere il Festival.

Chi altro le piace?
Annalisa, che conosco fin dai provini di ‘Amici’. E Ermal Meta. Credo che lui e Willie Peyote portino sul palco un’immagine di loro stessi e della loro musica aderente alla realtà, e questa è la chiave della longevità artistica.

Come è stato vivere l’orchestra e l’Ariston in tempi di pandemia, con un protocollo sanitario da rispettare?
Il primo giorno di prove, quando ci siamo ritrovati tutti insieme, è stata un’emozione forte. Sembravamo i sopravvissuti dell’anno 2087. Tanti degli orchestrali avevano la doppia mascherina non perché fosse obbligatoria ma perché erano coscienti dell’occasione che avevano dopo un anno di mancanza di musica insieme. La musica, se non si fa insieme, non ha niente di naturale. La loro attenzione è scaturita dalla voglia di esserci.

A fine marzo potrebbero riaprire i teatri in zona gialla.
“Me lo auguro. I teatri hanno testimoniato di poter contare i contagi sulle dita di una mano. Una cosa è certa: con i ristoranti e i teatri chiusi non ci è permesso il gaudio. Se devi lavorare e produrre puoi uscire, se devi gioire fallo a casa tua. Va bene, non fosse per il fatto che fare spettacolo non è soltanto gaudio. E’ provocazione, cultura e lavoro. Lo stesso ministro Franceschini non ha difeso questa posizione”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata