Dal palco alla realtà, gli attori adesso chiedono attenzione e non si tratta di un monologo. “Chiediamo l’attenzione che meritiamo. L’attenzione che meritano i lavoratori che lavorano in un settore così strategico per la nostra società, lavoratori che sono e saranno sempre precari, che alla fine di ogni film devono cercare un nuovo ingaggio, e che ciononostante, alla fine della carriera vengono anche privati della gran parte della contribuzione versata grazie a un sistema assurdo e iniquo“, dice a LaPresse Gianmarco Tognazzi, attore e portavoce del Nuovo Imaie in merito alla campagna in difesa dei diritti di pensione che gli artisti rivendicano nei confronti dell’Inps.
Mercoledì 22 ottobre alle 11 il Nuovo Imaie ha organizzato un panel dal titolo ‘Diritti in scena: previdenza e recuperi Inps agli Artisti Interpreti Esecutori‘. Servirà per far capire una volta di più agli italiani che il ‘pasticcio Inps’ sulle pensioni non riconosciuti alle maestranze dello spettacolo è qualcosa che presto potrebbe riversarsi anche in altri settori del lavoro. “Perché gli italiani dovrebbero solidarizzare per i diritti di professionisti che guadagnano milioni? Questo è un pregiudizio – tiene a precisare ancora Tognazzi, il cui primo film da attore risale al 1971 con ‘Nel nome del popolo italiano’ – per ogni lavoratore dello spettacolo ‘famoso’ ve ne sono centinaia che non lo sono, e che guadagnano stipendi pari a quelli di un impiegato o di un operaio”. “Se andate sul set di un film – prosegue – vedrete centinaia di persone che lavorano, elettricisti, falegnami, autisti, macchinisti, quelle che in gergo si chiamano maestranze. E poi ancora segretarie, parrucchieri, truccatori, costumisti sarte. Se andate in un teatro è la stessa cosa. E lo stesso vale per gli studi televisivi. Il 99% dei lavoratori dello spettacolo sono loro. Noi ‘attori’ abbiamo deciso di usare il nostro nome e di metterci la nostra faccia per tutti i lavoratori dello spettacolo che non hanno voce”.
I lavoratori dello spettacolo: “E’ la storia di una stangata”
“E’ la storia di una stangata” dicono i lavoratori dello spettacolo nell’appello-comunicato stampa ‘Non è un Paese per vecchi artisti’ sottoscritto da oltre ottanta tra attori, attrici e maestranze tra cui Stefania Sandrelli, Massimo Boldi, Paola Quattrini, Laura Morante, Gabriele Lavia, Stefano De Sando, Franco Oppini, Massimo Dapporto, Ornella Bernabei, Evelina Nazzari, Rossella Izzo, Fiamma Izzo, Simona Izzo, Umberto Montisanti, Emanuele Foglietti e Luca Ward solo per citarne alcuni nomi. La scossa definitiva è arrivata con la sentenza della Cassazione del 29 dicembre 2022 che “ha ribaltato la situazione” e portato l’anno seguente a una risoluzione in Parlamento (primo firmatario il presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone) per impegnare il governo a prendere coscienza del problema: “La commissione cultura e lavoro della Camera hanno approvato una risoluzione: sono passati più di due anni. Ora chiediamo al governo e al Parlamento di porre rimedio: di approvare una legge di interpretazione autentica che smentisca quella errata fornita dalla Cassazione”, rimarca Tognazzi, secondo il quale l’istituto della previdenza sociale “deve fare mea culpa, anziché difendere a oltranza l’operato dell’ex Enpals, che era un piccolo ente previdenziale, gestito come se fosse una cosa di famiglia e non un ente previdenziale pubblico. Il polo ‘Pals’, ancora oggi, non opera in modo trasparente: noi lavoratori dello spettacolo non abbiamo accesso a tutte quelle informazioni fondamentali che tutti gli altri lavoratori possono sapere semplicemente andando in uno dei migliaia di patronati che ci sono in ogni angolo di ogni città. Quando andrò in pensione? Quanto prenderò di pensione? Quanti contributi mi mancano per andare in pensione? Chi mi può dare queste informazioni in via ufficiale? Il governo e anche la Corte dei Conti dovrebbero mandare gli ispettori per venire a capo di questa situazione”.

Tognazzi: “Mia richiesta respinta sempre con motivo diverso”
Emblematica anche l’esperienza che sta coinvolgendo lo stesso Tognazzi: “Mi è successa una cosa incredibile: una volta raggiunti i 40 anni di carriera (perché prima si andava in pensione con 40 anni di lavoro), io ho fatto domanda di pensione. Respinta. Poi una seconda volta. Respinta. Poi un altra. Respinta. La cosa buffa è che Inps ha respinto tutte queste domande dicendo ogni volta una cosa diversa, e vale a dire, che serviva un determinato numero di contributi giornalieri differente, che nel tempo tra una domanda e l’altra saliva e poi scendeva inspiegabilmente nei dati forniti da loro”. Così a LaPresse Gianmarco Tognazzi, attore e portavoce del Nuovo Imaie nella battaglia in difesa dei diritti di pensione che gli artisti rivendicano nei confronti dell’Inps. In seguito, racconta l’attore, “mi sono rivolto all’avvocato, che ha fatto ricorso, e il tribunale del lavoro ha riconosciuto il mio diritto alla pensione. Poi Inps ha impugnato questa sentenza e anche la Corte di Appello ha confermato che io avevo diritto alla pensione”.
L’attore racconta la sua battaglia
Ma la vicenda, spiega, non si è chiusa: “Inps ha fatto ricorso per Cassazione. E qui viene il bello – aggiunge – Ha detto che io non avevo diritto alla pensione perché valgono solo gli anni in cui dal 1 gennaio al 31 dicembre noi riusciamo ad avere tutti i contributi che ci servono, per noi attori prima erano 60, poi 120, dal 2021 sono scesi a 90″. Per Tognazzi si tratta di un fatto “gravissimo per tanti motivi. Primo, nessuna legge del settore spettacolo prevede questo. Secondo, nessuna legge pensionistica in generale prevede questo. Terzo, se una legge prevedesse questo, intere categorie di lavoratori, non solo quelli dello spettacolo ma anche gli stagionali o i part time, non raggiungerebbero mai il diritto a pensione. E questo sarebbe incostituzionale” .”La mia causa ora è di nuovo davanti alla Corte di Appello – conclude l’attore – Inps deve essere intellettualmente onesta e ammettere che questo principio, molto semplicemente, non esiste. Altrimenti io ovviamente perderò la pensione, ma il punto non è questo. Il punto è che la Corte di Cassazione dice che questo è un principio generale e va applicato sempre e comunque. Ora se Inps applica questo principio perderanno il diritto a pensione non solo migliaia di lavoratori dello spettacolo, ma anche milioni di lavoratori del settore ordinario. E sopratutto decine, forse centinaia, di funzionari Inps andrebbero incontro a una responsabilità erariale più grande di loro. Ecco, diciamo che a quel punto la Corte dei Conti è li che ci aspetta”.

