Sarebbero almeno 4 gli operai in nero che hanno lavorato per l'azienda Adima, poi rinominata Ardima, creata e gestita per anni dal padre Antonio e con sede a Pomigliano D'Arco (Napoli)

William Shakespeare sosteneva che "il padre saggio è quello che conosce il proprio figlio". A casa Di Maio, invece, è l'esatto contrario. Se ne sta accorgendo sulla propria pelle il vicepremier e ministro del Lavoro, alle prese con le grane causate dal suo papà con la piccola ditta edile di famiglia. Secondo quanto venuto alla luce da un'inchiesta de Le Iene, infatti, sarebbero almeno 4 gli operai in nero che hanno lavorato per l'azienda Adima, poi rinominata, Ardima: una società con sede a Pomigliano D'Arco, in provincia di Napoli, il padre dell'attuale capo politico M5S e contraente di maggioranza relativa del patto di governo.

La trasmissione di Italia1 ha dato voce a Salvatore Pizzo, detto 'Sasà', che ha raccontato di aver prestato opera presso i cantieri della Adima nei mesi a cavallo tra il 2008 e il 2009, senza un regolare contratto di lavoro, e di essere rimasto anche vittima di un incidente su un cantiere: sollevando un tubo si sarebbe ferito all'indice della mano destra, in maniera così profonda da dover ricorrere alle cure ospedaliere. Ma nel tragitto in auto verso il 'Cardarelli' di Napoli, "il geometra Antonio" gli avrebbe chiesto di mentire sull'accaduto. Sasà, però, al presidio medico del nosocomio partenopeo descrisse i fatti senza omettere nessun particolare. Il referto dei dottori, unito alle pressioni di un sindacalista della Cgil, gli fruttarono un contratto di 6 mesi, 500 euro di transazione per l'anno 'a black' e infine un 'arrivederci e grazie' dalla società.

Oggi fa l'ambulante per 'campare' i 3 figli e la moglie, ma Sasà si professa un elettore Cinquestelle "convinto". Gli piace il programma pentastellato, soprattutto il reddito di cittadinanza, ma non ha gradito le imbiancate di Luigi Di Maio sulla sua famiglia e l'onestà del padre nei 30 anni da imprenditore. Così ha deciso di parlare alle telecamere. Il ministro del Lavoro non si è sottratto al confronto, anzi ha verificato i fatti e confermato tutto. Solo che nel frattempo i casi sono diventati 4, tutti concentrati tra il 2008 e il 2010, quindi ben prima che il leader M5S acquisisse il 50% delle azioni della Ardima (nel 2012). Tra questi c'è anche Domenico Sposito, che addirittura – come si dice a Napoli – 'ha messo in mezzo gli avvocati', cioè ha fatto causa al geometra Antonio Di Maio. In primo grado il giudice ha rigettato l'istanza, ma il contenzioso è ancora in corso in appello.

Anche se non si sono parlati per anni, padre e figlio sono poi riusciti a ricostruire un rapporto, sarà dunque il caso che si seggano attorno a un tavolo e parlino a lungo. Perché, nonostante la batteria della comunicazione Cinquestelle sia partita con una raffica di comunicati a sostegno del proprio leader, restano diverse luci su cui fare ombra. Nel frattempo, Di Maio junior, che aveva dichiarato pubblicamente di aver lavorato qualche volta col padre, d'estate, prima di tentare l'avventura in politica, ha pubblicato i documenti che attestano la legalità di quelle collaborazioni, zittendo così le "menzogne" sul suo conto: "La mia quota di partecipazione senza funzioni di amministratore o sindaco nella società Ardima è sempre stata regolarmente dichiarata a partire dal 2014. A dimostrazione ulteriore che i fatti denunciati non riguardano il periodo in cui sono socio dell'azienda". Ma questa storia non è destinata a sgonfiarsi, questo lo sa bene anche il ministro del Lavoro.

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