Del provvedimento resta il principio della chiusura della struttura commissariale, ma cade la parte che chiamava il governo a garantire l'operazione i  ragione di 74,5 milioni all'anno. La Lega gongola ma M5S promette battaglia in Parlamento e nessuno sconto sulla vicenda Siri

A mezzanotte passata di ieri è stata raggiunta in Consiglio dei Ministri l’intesa tra Lega e M5S sulla norma Salva-Roma contenuta nel decreto Crescita. Restano i commi 1 e 7 ma, come voleva (e aveva preannunciato) Salvini, gran parte del provvedimento (i commi 2,3,4,5,6) viene stralciato e verrà affrontato in Parlamento. Lo stesso premier Giuseppe Conte, alla fine ha commentato con un post su Facebook: "E' stato definito un percorso normativo a sostegno dei Comuni, a partire da Roma, in difficoltà finanziaria, sul quale il Parlamento potrà intervenire ancora in sede di conversione".

Nel provvedimento rimane la chiusura della struttura commissariale che gestisce gli oltre 12 miliardi del debito del comune di Roma e che generava inutili oneri e costi. Il debito verrà rinegoziato con le banche a un tasso più conveniente, ma il Governo (a differenza di quanto era scritto nei commi stralciati) non si farà carico degli oneri a garanzia del debito (74,5 milioni all'anno dal 2020 al 2048) che resteranno al Comune di Roma.

Il M5S promette battaglia in Parlamento. I 5 Stelle hanno detto che per loro il provvedimento è un buon punto di partenza ma che cercheranno di migliorarlo nella discussione parlamentare. La vicenda e le sue conclusioni, se da una parte chiudono, almeno per ora, una questione spinosissima con un accordo, lasciano aperto un enorme terreno di scontro che non riguarda solo gli aspetti tecnici e politici del "Salva Roma" E' chiaro che, adesso, Di Maio non cederà di una virgola sul caso Siri e sulla richiesta di dimissioni del sottosegretario leghista.

Ma la Lega, con Salvini, canta vittoria: "I debiti della Raggi non saranno pagati da tutti gli italiani ma restano in carico al sindaco”. In più Salvini vince la guerriglia tattica della serata. Intorno alle 20, aveva annunciato lo stralcio del "Salva Roma" dal Decreto Crescita dicendo ai giornalisti che c'era l'accordo e che il testo sarebbe finito in un "provvedimento ad hoc". Salvini ha anche fatto sapere che Di Maio era assente, che i ministri della Lega c'erano tutti ed erano compatti e che lui faceva accordi solo con chi c'era. Poi è tornato in Cdm dove, nel frattempo, è arrivato anche Di Maio. Sembra che la tensione sia stata ai massimi livelli, che Conte abbia rimproverato Salvini per aver raccontato ai giornalisti cose che non andavano spifferate in quel modo e gli abbia detto "Non siamo i tuoi passacarte".

Resta il fatto che Salvini ha detto una mezza verità ai giornalisti ma che, alla fine, le cose sono andate più o meno così. Il "Salva Roma" è uscito a brandelli e parlare di "stralcio" non è sbagliato. Lo scontro, a quanto detto dai M5S è solo rinviato in Parlamento dove, però, un voto differenziato Lega-M5S su parti del provvedimento, aprirebbe di fatto la crisi di governo.

A quanto dicono le indiscrezioni, Salvini, prima di parlarne con i giornalisti, in una riunione con il premier e Giorgetti (Di Maio non era ancora arrivato) aveva fatto sapere a Conte che il "Salva Roma" così com'era non sarebbe mai passato e che lui e gli altri ministri leghisti erano pronti a votare contro tutto il Decreto Crescita. A questo punto, Conte, pur di salvare il provvedimento che considera molto importante per l'economia generale, avrebbe accettato anche in assenza di Di Maio, lo stralcio del "Salva Roma".

A quel punto, Salvini sarebbe corso all'ingresso di Palazzo Chigi ad annunciare ai giornalisti lo stralcio. Tornato di sopra, ci sarebbe stato un duro faccia a faccia con il premier che l'avrebbe accusato di "farci fare la figura dei passacarte". Con l'arrivo del leader M5S, la riunione di governo è andata avanti in un clima di scontro totale e il M5S è riuscito a recuperare solo due comma su sette della normativa.

 

 

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