Nel partito chiesto un momento di chiarimento, la segretaria: "All’Europa serve la difesa comune, non la corsa al riarmo dei singoli Stati"

Il Pd si spacca a Bruxelles sulla risoluzione sul Libro Bianco della difesa e l’appoggio al piano di riarmo della Commissione europea. Alla fine sono undici gli astenuti – linea promossa da Elly Schlein –  mentre in dieci votano a favore. A ‘disobbedire’ sono i riformisti: il presidente dem Stefano Bonaccini, la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno e poi Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Irene Tinagli e Raffaele Topo. Si astengono, invece, dopo riunioni che vanno in scena fino all’ultimo minuto utile, sempre in contatto con Roma, il capodelegazione Nicola Zingaretti, i componenti della segreteria Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Sandro Ruotolo e Alessadro Zan, Brando Benifei, Dario Nardella, Matteo Ricci, Lucia Annunziata e gli ‘indipendenti’ Cecilia Strada e Marco Tarquinio.  La divisione, praticamente a metà, è netta.

Dem divisi

“Se consideriamo che i due indipendenti, Strada e Tarquinio, si sono astenuti, possiamo dire che nel Pd la segretaria è andata sotto”, si affrettano a far notare i riformisti. Tarquinio conferma la scelta in sostegno di Schlein: “Mi sono astenuto per sostenere la posizione di Elly Schlein che altrimenti rischiava di risultare minoritaria – ammette l’ex direttore di Avvenire – Se avessi votato no sarebbe mancato quel po’ di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein”. I riformisti, però, rivendicano quanto fatto. “Io credo che il voto favorevole di parte del Pd abbia un risultato politico importantissimo perché evita al Pd un isolamento politico dai socialisti”, dice chiaro Pina Picierno, che poi chiama in causa la leader dem. “La posizione della segreteria era di astenersi, credo che non si possa far finta che non sia successo niente. Ora è necessario un lavoro di composizione, che nei partiti si è sempre fatto. Questo lavoro di composizione spetta alla segretaria ed è mancato. Ha avuto una posizione troppo affrettata. Questo lavoro andava fatto prima e va fatto ora”, insiste.

Nel partito chiesto un momento di chiarimento

Sono in tanti, anche nei corridoi romani, a chiedere al Nazareno un momento di chiarimento. “Un partito non può astenersi, deve dire con chi sta. A Bruxelles una discussione con la segretaria non c’è stata, serve un confronto equilibrato. Il voto di oggi dimostra che non ci si può arrivare senza una discussione vera”, scandisce Lia Quartapelle, che poi punge: “Si partiva dal no, per fortuna la linea del no è andata sotto”. Anche Gianni Cuperlo, Marianna Madia, Sandra Zampa e Piero Fassino insistono:  “E’ necessario un confronto fondato sulla consapevolezza che il posizionamento internazionale di un partito ne definisce identità, profilo e credibilità”, le parole dell’ex sindaco di Torino. La parola ‘congresso’ riecheggia più volte in Transatlantico. Cuperlo, che invoca un confronto vero dentro gli organismi dirigenti del partito, non lo esclude e anche Andrea Orlando apre alla possibilità di svolgere un congresso tematico: “Non si può chiedere un congresso ogni volta che non si concorda con le scelte della segreteria, peraltro votate da una direzione. C`è però la necessità di chiarirsi le idee. E gli strumenti ci sono senza dar luogo a una conta sugli organigrammi: uno è quello del congresso tematico, che potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente, l’altro quello del referendum tra gli iscritti”, spiega.

Schlein ribadisce la linea

Schlein, però, ribadisce la linea: “All’Europa serve la difesa comune, non la corsa al riarmo dei singoli Stati. È e resta questa la posizione del Pd”, mette nero su bianco in una nota. “Oggi al Parlamento si votava una risoluzione sulla difesa comune, con molti punti che condividiamo, ma la risoluzione dava anche appoggio al piano RearmEU proposto da Ursula Von der Leyen cui abbiamo avanzato e confermiamo molte critiche proprio perché agevola il riarmo dei singoli Stati facendo debito nazionale, ma non contribuisce alla difesa comune e anzi rischia di ritardarla. Quel piano va cambiato”, insiste. Anche la ‘conta’ sui rapporti di forza interni alla delegazione, viene fatta in modo diverso dagli uomini vicini alla leader a Bruxelles: “Qui siamo in minoranza – ragionano – a parte i quattro membri della segreteria e Zingaretti, i due indipendenti Strada e Tarquinio e Annunziata, gli altri hanno votato Bonaccini al congresso. Oggi da otto che eravamo siamo diventati undici, Benifei, Ricci e Nardella hanno seguito la linea Schlein”. Non solo. Anche il dibattito interno, per loro, non è mancato: “Elly ha detto cosa pensava in direzione, lo ha sostenuto in segreteria e ribadito sui giornali, non è una posizione caduta dal cielo, abbiamo lavorato per cambiare la risoluzione”.In molti, poi, non si aspettavano il voto positivo di Bonaccini: “Ha stupito tutti – viene riferito – ma oltre a essere il presidente Pd è il leader della corrente di minoranza e se si fosse astenuto probabilmente non lo sarebbe stato più”, punge qualcuno. Qualcun altro ricorda le parole pronunciate sul ReArm Eu dai padri fondatori del partito, da Prodi a Gentiloni, da Letta a Veltroni, che vedono nel Piano un primo passo necessario in vista della difesa comune: “Non ha voluto che le loro parole venissero sconfessate, è stato coerente con quello che pensa e con Zingaretti si è speso molto perché nessuno votasse no”, racconta qualcun altro. 

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