L'ex premier e tutti i 28 coimputati sono stati assolti perché il fatto non sussiste

Nel processo Ruby Ter, che ha visto Silvio Berlusconi e tutti i 28 coimputati assolti perché il fatto non sussiste e qualche posizione minore prescritta, i giudici della settima sezione penale del tribunale di Milano Marco Tremolada (presidente), Mauro Gallina e Silvana Pucci dovevano stabilire se vi fosse stata corruzione in atti giudiziari e false testimonianze nei processi Ruby 1 e bis (più singoli capi d’imputazione per false informazioni ai pm, riciclaggio e favoreggiamento della prostituzione) per coprire quanto avvenuto nelle ‘cene eleganti’ di Arcore a Villa San Martino.

Fra gli accusati con l’ex premier 21 ragazze, fra cui Karima ‘Ruby’ El Mahroug, il suo ex compagno Luca Risso, il giornalista Carlo Rossella, l’avvocato Luca Giuliante. La Procura di Milano, rappresentata in aula dall’aggiunto Tiziana Siciliano e dal sostituto procuratore Luca Gaglio, aveva chiesto in totale oltre 100 anni di reclusione – 6 per il leader di Forza Italia – e la confisca di quasi 19 milioni di euro a Berlusconi (10,8mln), ‘Ruby’ (5mln), Risso (3 mln), oltre che immobili e cifre  a cinque zeri alle ragazze – dai 270mila a Marysthell Polanco ai 237.500 di Barbara Guerra – ritenute dai pm “l’insieme delle dazioni di danaro elargite da Silvio Berlusconi alle singole imputate” fra 2011 e 2015 (bonifici, assegni, contanti, contratti “simulati”) e figlie dei singoli “accordi corruttivi” per mentire ai magistrati o omettere informazioni.

La difesa di Berlusconi, gli avvocati Federico Cecconi e Franco Coppi, ha sempre sostenuto che non vi fosse alcuna prova di alcun accordo corruttivo e che i soldi e le case fossero state date alle giovani per risarcirle del travaglio giudiziario a cui sono state sottoposte. Il processo, iniziato nel gennaio 2017, è stato segnato da eccezioni e colpi di scena, come l’ordinanza del tribunale di Milano del 30 novembre 2011 che ha dichiarato “inammissibili” 18 testimonianze su 20 delle ragazze (escluse Barbara Guerra e Iris Berardi). Tutte le ragazze, infatti, “non potevano legittimamente rivestire l’ufficio pubblico di testimone” perché “sostanzialmente indagate di reato connesso”, ha fatto sapere il tribunale di Milano in una nota dopo la lettura della sentenza. “Se il soggetto che si assume come corrotto non può qualificarsi come pubblico ufficiale” la corruzione non può “sussistere nemmeno nei confronti dell’ipotizzato corruttore, nel caso di specie Berlusconi”.

La sentenza è l’ultimo capitolo giudiziario della vicenda nata la notte tra il 27 e 28 maggio 2010, quando l’allora premier chiamò in Questura a Milano il capo di gabinetto interessandosi dei destini di una giovane Ruby ‘Rubacuori’, all’epoca minorenne, fermata per un furto, e sostenendo che si trattasse della nipote del presidente egiziano Mubarak per sollecitarne la consegna all’igienista dentale Nicole Minetti (all’epoca consigliera regionale in Lombardia). Episodio che attirò l’attenzione della stampa mondiale, una volta scoperto, portando agli onori delle cronache le serate di Arcore e quelle di Palazzo Grazioli a Roma con il rito del ‘bunga bunga’.

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