Il declino dei populismi passa dalle elezioni comunali e colpisce in modo diverso da destra a sinistra, da nord a sud Italia. Le amministrative tratteggiano uno scenario tutto nuovo con risultati spesso molto deludenti, proprio da parte di quei partiti, M5S in testa, che nella tornata elettorale di 5 anni fa aveva sbaragliato con successi storici.
“Il populismo italiano è stato sovrastimato ma non è destinato a sparire – sottolinea il politologo Gianfranco Pasquino, contattato da LaPresse -, c’è una striscia che rimarrà sempre”.
Una ‘caduta’, simile a quella registrata a livello europeo, ma il populismo è tutt’altro che morto: i partiti di lotta diventano ‘di governo’, perdono una parte dei voti e lasciano scoperti spazi che potrebbero in futuro essere presi da nuovi movimenti di rottura.
Ma per quanto riguarda il M5S, FdI e Lega, secondo Lorenzo De Sio, professore alla Luiss e direttore del Centro italiano di studi elettorali, quella a cui assistiamo è “una fase di crescita” dei populismi, “non la loro fine”: una trasformazione fisiologica nella quale passano quelli che erano i ‘nuovi’ partiti quando si ‘partitizzano’. “E’ una fase di maturazione che non a caso arriva insieme alle responsabilità di governo”, prosegue De Sio, in cui i populismi “maturano”.
“Nella Lega c’è anche altro – prosegue Pasquino, facendo riferimento alle posizioni espresse da Giancarlo Giorgetti – e anche il M5S ha dovuto abbandonare queste posizioni essendo diventato un partito di governo”. “Non una fine, solo una partitizzazione – continua De Sio -. Di fronte alla crisi dei vecchi partiti, queste formazioni avevano portato nuove domande e ora si sono integrate nel sistema: il M5S lo fa nel centrosinistra, Fdi e Lega nel centrodestra. Il rovescio della medaglia è che queste forze non vanno bene da sole, come nel caso dei pentastellati, e spesso i candidati designati da Lega e FdI non riescono a catturare quell’elettorato di opinione che serve per vincere”.
Dello stesso avviso il sondaggista Nicola Piepoli, secondo il quale il M5S “sconta l’abbandono delle posizioni del passato, ma trova ora nel Pd un alleato naturale”. E se per vincere le elezioni bisogna avere la capacità di parlare “alla massa degli elettori, ma anche alla classe dirigente”, spiega De Sio, “la nuova strategia del centro sinistra largo, si sta rivelando pagante. Una partnership del Pd con forze più radicali funziona”. Più complessa, secondo l’esperto, la situazione del centrodestra, dove “quando Lega e Fdi scelgono i loro candidati senza la capacità che aveva la Forza Italia di Silvio Berlusconi di interagire con le classi dirigenti, non funzionano. E ne escono candidature scelte tardi e non forti”.

