Giustizia, via libera definitivo a riforma Cartabia: come cambia processo penale

Il governo porta dunque a casa uno degli obiettivi più importanti (e delicati) della road map verso il Recovery fund

Con 177 voti favorevoli e solo 24 no, l’aula del Senato ha dato il via libera definitivo alla riforma Cartabia del processo penale. Il governo porta dunque a casa uno degli obiettivi più importanti (e delicati) della road map verso il Recovery fund, con una maggioranza compatta su un provvedimento che, soltanto due mesi fa, prima del passaggio alla Camera, aveva rischiato di aprire una crepa irreparabile con il M5S.
Tra i punti fondamentali della norma c’è sicuramente la riforma della prescrizione, che di fatto supera i dettami della legge Bonafede. Con le modifiche introdotte riguarderà solo i reati commessi dopo il 1 gennaio 2020 ed entra in vigore gradualmente, per consentire agli uffici giudiziari di organizzarsi, grazie a una norma transitoria fino al 2024. Per i primi 3 anni, entro il 31 dicembre 2024, i termini saranno più lunghi per tutti i processi (3 anni in appello; 1 anno e 6 mesi in Cassazione). Con possibilità di eventuale proroga (1 anno in appello, 6 mesi in Cassazione), per un totale, fino a 4 anni in appello (3+1 proroga); e fino a 2 anni in Cassazione (1 anno e 6 mesi + 6 mesi di eventuale proroga) per tutti i processi in via ordinaria. Ogni proroga deve essere motivata dal giudice con ordinanza, sulla base della complessità del processo, per questioni di fatto e di diritto e per numero delle parti.

Contro l’ordinanza di proroga, sarà possibile presentare ricorso in Cassazione. Di norma, è prevista la possibilità di prorogare solo una volta il termine di durata massima del processo. Per alcuni gravi reati, è previsto un regime diverso: per associazione di stampo mafioso, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti non c’è un limite al numero di proroghe, che vanno però sempre motivate dal giudice sulla base della complessità concreta del processo.
Per i reati con aggravante del metodo mafioso, oltre alla proroga prevista per tutti i reati, ne sono previste come possibili ulteriori due (massimo 3 anni di proroga) sia in appello che in Cassazione. Per 416 bis.1 (aggravante mafiosa) fino a due proroghe ulteriori, oltre a quella prevista per tutti i reati. Quindi nel complesso fino a 3 proroghe di un anno in appello. Ciò significa massimo 6 anni in appello e massimo 3 anni in Cassazione nel periodo transitorio (fino al 2024), che diventano massimo 5 anni in appello e massimo 2 anni e mezzo in Cassazione a regime (dal 2025).
I reati puniti con l’ergastolo restano esclusi dalla disciplina dell’ improcedibilità. Dopo il 2024, a regime, in appello, i processi possono durare fino a 2 anni di base, più una proroga di un anno al massimo. In Cassazione, 1 anno di base, più una proroga di sei mesi.

L’accordo chiuso in estate con il Movimento 5 Stelle e il suo leader, Giuseppe Conte, prevede comunque un binario diverso per reati di mafia, terrorismo, violenza sessuale e mafiosa, senza limiti di proroghe, ma sempre motivate dal giudice e sempre ricorribili per Cassazione. Stessa cosa per i reati con aggravante mafiosa (416bis .1/comma 1), con massimo 2 proroghe in appello (ciascuna di un anno e sempre motivata) e massimo 2 proroghe in Cassazione (ciascuna di 6 mesi e sempre motivata). Vengono, poi, rimodulati i termini di durata massima delle indagini rispetto alla gravità del reato. In caso di stasi del fascicolo, si prevede l’intervento del gip, che induca il pm a prendere le sue decisioni. Discovery: alla scadenza del termine di durata massima delle indagini, fatte salve le esigenze specifiche di tutelare il segreto investigativo, si conferma il meccanismo di discovery degli atti, già previsto nel ddl Bonafede. È garanzia per l’indagato di non restare sotto indagine troppo a lungo; e garanzia per la vittima di dare un impulso al fascicolo fermo, anche per evitare la prescrizione del reato.

La riforma Cartabia prevede, inoltre, che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento, individuino priorità trasparenti e predeterminate, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure, da sottoporre al Csm. La legge propone anche di estendere la portata delle norme introdotte con la legge sul Codice rosso, in tema di violenza domestica e di genere al tentato omicidio e, in genere, ai delitti commessi in forma tentata (ad esempio la violenza sessuale). Per quanto riguarda le indagini preliminari e l’udienza preliminare, il pm chiede il rinvio a giudizio, solo quando gli elementi acquisiti consentono una ‘ragionevole previsione di condanna’. Il punto di partenza è la percentuale molto alta di assoluzione in primo grado, pari oggi a circa il 40%. Si propone di limitare la previsione di udienza preliminare a reati di particolare gravità e, parallelamente, di estendere le ipotesi di citazione diretta a giudizio. Il giudice dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere, quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna. La delega, invece, mira a rendere più efficiente e spedita la giustizia penale attraverso la digitalizzazione e le tecnologie informatiche. Confermate le proposte del ddl Bonafede, quanto ad alcune limitate ipotesi di inappellabilità delle sentenze di primo grado (es proscioglimento in caso di reati puniti con pena pecuniaria). Resta in via generale la possibilità – tanto del pm, quanto dell’imputato – di presentare appello contro le sentenze di condanna e proscioglimento. Si recepisce un principio giurisprudenziale: inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi.

Per evitare di celebrare processi per fatti bagatellari, si estende l’ambito di applicabilità della causa di non punibilità, che nella prassi ha avuto una felice applicazione, specie in fase di archiviazione. E ancora, la riforma delega il governo a disciplinare in modo organico la giustizia riparativa, nel rispetto di una direttiva europea e nell’interesse sia della vittima che dell’autore del reato. Infine, la norma prevede che un apposito Comitato tecnico scientifico istituito presso il ministero della Giustizia ogni anno riferisca in ordine all’evoluzione dei dati sullo smaltimento dell’arretrato pendente e sui tempi di definizione dei processi.