Divisioni all'interno dei pentastellati dopo l'incarico all'ex numero uno della Bce

Il Movimento 5 Stelle è contemporaneamente contro il governo Draghi, a favore di un esecutivo politico e non teme le elezioni. Capire quale di queste sia la linea pentastellata ufficiale in questa seconda fase della crisi, però, è un esercizio al limite del masochismo. Riavvolgendo il nastro, la prima opzione è quella lanciata dal capo politico reggente, Vito Crimi, con un post notturno, martedì scorso, che di fatto prova a ‘bruciare’ l’ex presidente della Bce nemmeno cinque ore dopo la convocazione al Quirinale. Una posizione subito sposata dall’ala più ‘contiana’ dei Cinquestelle, quella dove si ritrovano diversi ministri dell’ex ‘avvocato del popolo’, e sulla quale ha deciso di convergere anche Alessandro Di Battista, con i parlamentari a lui più vicini.

Ma non tutti la pensano allo stesso modo. Anzi, buona parte dei gruppi si ritrova sulla riflessione opposta: una linea così dura rischia non solo di portare il Movimento a sbattere, ma soprattutto di mandare il Paese a gambe all’aria. Diversi parlamentari provano a far passare anche la loro versione, lamentando la mancanza di discussione, peraltro a poche ore da un’assemblea congiunta, convocata appunto per decidere cosa fare. “Neanche se fossimo in Unione Sovietica si deciderebbe una cosa così importante senza neanche consultarci”, si sfoga un deputato della ‘vecchia guardia’.

Nel mirino finiscono, ancora una volta, gli attuali vertici: “La linea tenuta in questa crisi è stata totalmente sbagliata fin dall’inizio, non possiamo più affidarci a chi l’ha studiata e difesa, senza ascoltare chi chiedeva più prudenza o quantomeno una riflessione condivisa”.

In congiunta i nodi non vengono sciolti. Crimi ribadisce: “Un governo tecnico non fa il bene del Paese, abbiamo già dato”. Il vice ministro dell’Interno, però, non esclude che Mario Draghi possa partire, infatti poco dopo aggiunge: “Quando e se dovesse nascere questo esecutivo tecnico, noi saremo condizionanti”. Senza i Cinquestelle, infatti i numeri non ci sono. Quantomeno gli incastri non garantiscono la piena agibilità. Questo è un concetto ben radicato nelle anime M5S, ma ognuno ne dà un’interpretazione diversa. Stefano Patuanelli, ad esempio, per chiedere una squadra “politica”, invitando i suoi colleghi a “reagire con forza e sangue freddo”. Altri per sottolineare la gravità della situazione.

In rassegna passano i vari interventi, ma senza chiarire quale sia l’opinione maggioritaria nelle truppe. Alcuni sono particolarmente interessanti per comprendere il clima, come quello di Sergio Battelli, che vuole vederci chiaro sulle intenzioni di Giuseppe Conte, la figura su cui si avvitato il Movimento: “Cosa vuol fare, un partito proprio, il leader del M5S o il leader del centro?”, chiede – senza ricevere risposta – il presidente della commissione Politiche Ue della Camera. I dubbi si accavallano, qualcuno chiede anche un passaggio con la base su Rousseau e Crimi non chiude la porta: “E’ un’ipotesi da non trascurare”.

Tutti aspettano Luigi Di Maio, voce ancora molto influente nel Cinquestelle. Il ministro degli Esteri chiede di stoppare gli attacchi a Draghi “che ha legittimamente e correttamente risposto a un appello del Capo dello Stato”, ma indica un’altra strada: “È nostro dovere riuscire a trovare una sintonia politica per il bene e il futuro del nostro Paese con un governo politico”. La posizione è chiara, anche se più conciliante. Come quella di Federico D’Incà, che suggerisce di “sedersi a un tavolo con Draghi e capire cosa ci propone” prima di prendere una decisione definitiva. Ma c’è anche chi, come Federica Dieni, ricorda a tutti cosa c’è dopo un eventuale fallimento dell’incarico a Draghi: “Le elezioni”. Perciò obietta di verificare prima se “se riusciamo ad entrare nel governo, con qualche nostra personalità di rilievo” per non fare la “follia” di “far gestire ad altri l’elezione del prossimo presidente della Repubblica e il Recovery plan”. Perché l’opzione ‘baratro’ è sempre dietro l’angolo.

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