Se Atene piange Sparta non ride. Oggi Mattarella riceve la delegazione unica del Centrodestra ma le voci di fronte al Capo dello Stato sono differenti. Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Cambiamo, UDC, Noi con l’Italia professano unità ma ognuno con la sua diversa posizione, come ormai evidente persino agli occhi, e alle orecchie, più distratte. Elezioni subito, o comunque quanto prima, governo istituzionale, governo di larghe, larghissime intese. Pare che a saldare il fronte in realtà sia solo il no a un Conte sotto qualsiasi formula, un veto ormai nemmeno troppo originale. Gli interessi d’altro canto sono divergenti fin dall’inizio della crisi. Più ci si sposta verso il centro maggiori sono le spinte verso il termine della legislatura, questione di opportunità politica, elettorale e organizzativa. In senso inverso, guardando verso destra, il ‘torniamo alle urne’ resta il mantra inderogabile. In mezzo le posizioni hanno acquisito margini poco definiti. Tant’è che i sei leader, a partire dai due big Salvini e Meloni, da tempo non si incontravano così spesso. Vertici continui, l’ultimo ancora oggi sulla strada verso il Colle, per trovare se non altro un minimo comune denominatore da portare al Presidente della Repubblica. Con qualche nervosismo. 
 
Nelle ultime ore le esternazioni di facciata, ‘l’unità del centrodestra non è in discussione’ apparivano sempre più un’ excusatio non petita. Fosse necessario un secondo round di consultazioni – si mormora tra le file – non è escluso che Salvini, Meloni e centristi si presentino con delegazioni separate. Le parole di Paolo Romani alla vigilia del primo giro al Quirinale già sembravano in qualche modo profetiche: “se la memoria non mi inganna nel 2018 una forza del centrodestra andò al governo, le altre restarono all’opposizione”. La memoria del senatore di Cambiamo è naturalmente buona, il messaggio a Lega e compagni di strada altrettanto chiara. E’ proprio al leader del Carroccio tutti gli occhi o quasi sono puntati. Non è sfuggito a osservatori e notisti un ammorbidimento possibilista del secondo Matteo che può determinare le sorti della crisi. Il leader del maggiore partito della ‘coalizione’ ha detto ieri “o c’è un governo serio, che si dà alcuni punti programmatici e li fa, oppure io al governo con Zingaretti , Renzi e Di Maio non so cosa dovrei fare”. Affermazione che può essere letta in modo assai diverso da due punti di vista opposti. Fallisse ogni ipotesi di Conte ter, la risposta Salvini potrebbe trovarla nell’importante base imprenditoriale del suo elettorato. Se non nei corridoi quirinalizi dove il ricorso alle urne è vista come ipotesi concreta ma non auspicabile.
 

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