Tecniche e tatticismi non hanno funzionato e alla fine lo show down, con le dimissioni degli esponenti Iv dall'esecutivo, è arrivato davvero

Il giorno peggiore per Giuseppe Conte forse è proprio questo, peggio pure del compleanno festeggiato nell’agosto 2019 quando Salvini fece naufragare il suo primo governo. Perché stavolta tecniche e tatticismi non hanno funzionato e alla fine lo show down – con le dimissioni degli esponenti Iv dall’esecutivo – è arrivato davvero. Stavolta restare in sella sarà dura, perché se Matteo Renzi non ha, formalmente, chiuso a nessuna ipotesi tranne l’alleanza con la destra sovranista, è chiaro che nel mirino c’è innanzitutto il premier. Ecco la ragione per cui Conte ci tiene a rimarcare la volontà di “lavorare sempre per rafforzare la coesione delle forze di maggioranza, ma non ne farò mai una questione personale, non lo sarà mai”.

Per tutto il giorno l’avvocato del popolo tenta di trovare la chiave per uscire dall’impasse di una crisi sempre più vicina e sempre più difficile da risolvere. Così, mentre i pontieri sono al lavoro e si parla di una possibilità di ricucire in extremis Conte riceve a palazzo Chigi gli operai della Whirlpool di Napoli, una delle vertenze più calde degli ultimi mesi. E’ il modo di dare un segnale della necessità di lavorare su quelli che sono “i problemi del Paese”, lontani dal dibattito politico. E non a caso a loro ribadisce che una crisi in questo momento “è incomprensibile”.

Il premier è infuriato per la decisione delle due ministre Iv, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, di astenersi dal voto sul Piano per il Recovery fund durante il Cdm notturno. ‘Sono state accolte le loro richieste, Gualtieri ci ha parlato ancora stamattina, mi sembra evidente che fosse un argomento pretestuoso’, va ripetendo ai suoi. Nessuna telefonata dal suo ufficio alle due colleghe di governo, né al loro leader Matteo Renzi: sono loro che stanno sbagliando, è stata finora la posizione di Conte che non cambia certo ora. E mentre le ore passano senza buone notizie, il premier decide di anticipare i tempi e recarsi al Colle per un confronto con il presidente della Repubblica. Un incontro necessario, obbligatorio, a questo punto: ma prima e non dopo le parole di Renzi consente di guadagnare tempo. Poi una passeggiata in centro, inseguito dai cronisti: con uno stuolo di telecamere e microfoni a disposizione Conte lancia “un patto di fine legislatura”, ricordando che nelle discussioni “se si lavora in modo costruttivo si migliorano le cose, guardate il Recovery Plan”. Insomma, “se c’è disponibilità di confrontarsi in modo leale – rimarca il premier – sono convinto si possa trovare il senso di una maggiore e nuova coesione”. Confronto che finora, almeno con Renzi, non c’è stato, perché i due non si parlano da settimane. Ma Conte non ci sta a passare per responsabile di una crisi “che non sarebbe compresa dal Paese”. E al Colle assicura: “Ho sempre detto che serve una maggioranza solida per portare avanti il lavoro del governo. Non può avere un voto qua e là, occorre una coesione, solidità perché altrimenti non si può portare avanti l’azione di governo”.

Niente da fare: arriva lo strappo, le accuse di Renzi, le dimissioni delle ministre. A palazzo Chigi cala il silenzio, i cellulari squillano a vuoto. Il premier si trincera in riunione con i suoi, senza lasciar trapelare nulla all’esterno. C’è da riunire il Cdm sulla proroga dello stato di crisi, sul nuovo decreto “per rendere il Paese più resiliente rispetto alla curva epidemiologica e le nuovi varianti molto insidiose”. E poi preparare i nuovi ristori, il nuovo scostamento di bilancio. Ci sono tante, troppe cose da fare: ma a questo punto bisogna innanzitutto capire come e se è possibile uscire dalla crisi.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata