Sul Fondo Salta-Stati resta altissima la tensione nella maggioranza dopo l'intervento del presidente del Consiglio in Parlamento
Conte aveva un obiettivo: mettere a tacere le accuse di Matteo Salvini. Ma le cose non sono andate proprio come sperava. Perché i colpi del premier nell'informativa alle Camere sul Mes prendono in pieno anche Luigi Di Maio, anche se involontariamente, si affrettano a chiarire gli uomini della comunicazione.
Eppure, quando il responsabile di Palazzo Chigi dice in aula che il lavoro svolto "ai tavoli europei, a livello tecnico e politico, era pienamente conosciuto dai membri del primo Governo da me guidato" sembra proprio replicare al capo politico dei Cinquestelle, che solo poche ore prima, su Facebook, aveva scritto: "Ci siamo battuti per non firmare al buio il Mes". Sembrano chiari i segnali di rottura.
Corroborati dal fatto che a Montecitorio Di Maio rimane impassibile, seduto alla sinistra del premier senza mostrare la minima espressione, senza applaudire nemmeno una volta e andando via senza stringere la mano a Conte alla fine delle 25 pagine di discorso. Oltretutto in Senato non si presenta e convoca i ministri M5S alla Farnesina prima del Consiglio dei ministri per fare un punto.
Così Conte è costretto ad aggiungere un pezzo del racconto a margine della giornata parlamentare: "Screzi con Di Maio? Ma perché? Assolutamente no, stiamo facendo un percorso". Di lì a poco il leader 5stelle mostra di gradire la precisazione, diffondendo una nota in cui afferma che "nel suo intervento alla Camera il presidente del Consiglio ha messo a tacere falsità e fake news diffuse dalle opposizioni in questi giorni".
Si torna al piano iniziale, colpire Salvini. O meglio, l'asse sovranista, che il premier impallina in Parlamento: "Pur di attaccare me e il Governo non ci si è fatti scrupolo e mi sono sorpreso, se posso dirlo, non della condotta del senatore Salvini, la cui disinvoltura a restituire la verità e la cui resistenza a studiare i dossier mi sono ben note, quanto del comportamento della deputata Meloni, di diffondere notizie allarmistiche, palesemente false, che hanno destato preoccupazione nei cittadini". Perché "il Parlamento è stato sempre, costantemente e puntualmente aggiornato" sulle mosse ai tavoli europei. Cita i leghisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai, legge i resoconti delle sedute di aula e commissioni e respinge le accuse "gravissime" e "false" di alto tradimento, che gli aveva sparato addosso Salvini: "E' stato anche detto che il Mes sarebbe stato già firmato, per giunta nottetempo. Anche chi è all'opposizione ha compiti di responsabilità". Perché se fosse così "sarei costretto a rassegnare all'istante le dimissioni".
Il segretario della Lega ascolta e prepara la replica, mentre Giorgia Meloni fa capire che aria tira a destra: "Lei è un presidente che ci riempie di menzogne". A Palazzo Madama il discorso non cambia, così l'ex ministro dell'Interno non tradisce le attese: spara ad alzo zero, ribatte che i conti correnti degli italiani sono a rischio e chiude l'intervento con un "si vergogni". Conte sorride e non si scompone, nemmeno quando dai banchi di Pd e M5S la temperatura si alza oltre i livelli di guardia.
Finita la lunga giornata, si tirano le somme: il M5S pretende che la decisione finale sul Mes sia del Parlamento, Di Maio chiede e ottiene la "logica del pacchetto" con l'unione bancaria e lo schema europeo di garanzia sui depositi e sul budget dell'Eurozona, il Pd dà fiducia al ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, e al premier. E le opposizioni non arretrano. Il tutto alla vigilia di due appuntamenti fondamentali: l'Eurogruppo del 4 dicembre e il Consiglio Ue dell'11. È a cavallo tra le due date che Conte e il suo governo giocheranno la partita interna decisiva sul Mes. E se non sarà trovato un equilibrio per tempo, allora le cose potrebbero mettersi male per la maggioranza.
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