Il voto sabato dalle 18.30. Centrosinistra e centrodestra contestano i tempi troppo brevi per l'esame del testo

Il governo pone la questione di fiducia sulla Legge di Bilancio così come varata in seconda lettura al Senato. Sabato alle 17 ci saranno le dichiarazioni di voto e dalle 18.30 è prevista la votazione per appello nominale. Gli ordini del giorno da votare sono 244: si va avanti fino alle 24, si riprende il 30 a partire dalle 9.

Caos in Aula. La giornata alla Camera è stata caratterizzata da uno scontro durissimo tra maggioranza e opposizioni sui tempi e le modalità di esame della legge di Bilancio. Come è noto, maggioranza e governo vogliono chiudere tutto entro sabato con un altro voto di fiducia. Dopo il rapido passaggio in Commissione Bilancio (contestato dalle opposizioni), questa mattina la bagarre è ripresa appena iniziata la riunione in aula per la discussione generale. Centrosinistra e centrodestra hanno fatto il diavolo a quattro finché il presidente Roberto Fico è sbottato: "Così non si può continuare. Sospendo l'aula e convoco la capigruppo".

Ma anche nella riunione dei capigruppo destinata a rivedere i tempi d'esame della manovra, le cose non sono andate meglio. La discussione è subito stata vivacissima e ben presto i capigruppo di opposizione hanno abbandonato la Conferenza per protestare contro il comportamento di Fico, colpevole a loro avviso di non aver fatto votare la richiesta di sospensione dell'Aula. Il motivo è semplice: in quel momento c'erano in aula pochi deputati di maggioranza e il governo avrebbe rischiato di andare sotto anche se si trattava di una questione procedurale. L'opposizione ha perciò accusato Fico di fare gli interessi della maggioranza e di non essere super partes.

Il dibattito è poi ripreso in aula. I relatori di maggioranza si sono limitati a depositare i loro interventi suscitando altre rimostranze dell'opposizione. Il punto centrale della protesta di Pd, Leu, Forza Italia e Fratelli d'Italia è il fatto che la legge di Bilancio finirà per essere approvata senza che sia mai stata discussa in Commissione né alla Camera né al Senato. In sostanza, le opposizioni non sono quasi mai potute entrare nel merito e non c'è stato contraddittorio perché neanche gli esponenti di maggioranza, alla fine, conoscono il testo. Fico ha spiegato che ci sarebbero precedenti, ma diversi esponenti dell'opposizione hanno detto che non è mai accaduto che un provvedimento vada in aula senza almeno un passaggio in Commissione a Montecitorio o a Palazzo Madama. Tra i più attivi, in questa fase, Emanuele Fiano (Pd) che, a un certo punto, è stato protagonista del lancio di un faldone che ha colpito il sottosegretario Garavaglia. Fiano ha chiesto la parola per scusarsi: "Lei, presidente Fico – ha detto – è mal consigliato sui precedenti, non so da chi suggeriti. Nei casi in cui si è dato mandato al relatore senza discussione degli emendamenti, il testo per lo meno era stato discusso in una delle due Camere. Questa non è l'abolizione del bicameralismo. Questa è l'abolizione del parlamento. E se non le difende lei le prerogative del parlamento, chi deve difenderle?".

Durissima anche Maria Stella Gelmini (Forza Italia): "Siamo di fronte al vilipendio della Costituzione. E spiace che il presidente del consiglio invece di venire in aula sia impegnato in conferenza stampa". Gelmini ha chiesto "una presa di distanza da questa situazione, un sussulto. Le reiteriamo la richiesta di consentire una discussione generale fatta non con superficialità, non con la fretta. E chiediamo la presenza del presidente Conte. Venga qua e non in inutili conferenze stampa".

Più tardi, in un ultimo tentativo di rimediare alla carenza di dibattito, Graziano Delrio (Pd) ha provato a convincere Fico e la maggioranza a permettere un ritorno in commissione: "Il governo ha umiliato il Parlamento intero. Lei, presidente, ha la possibilità di rinviare il testo in commissione per l'esame degli articoli. Glielo propongo". Fico ha messo in votazione la proposta che è stata respinta con 153 voti di differenza. Poco dopo è arrivata la richiesta del governo di porre le fiducia.

Lo scontro con Fico – E mentre Fiano parlava, il suo collega Enrico Borghi (Pd) ha alzato la voce e ha gridato al presidente "Cosa ci stai a fare". La risposta di Fico è stata pesantissima: "Le faccio il primo richiamo verbale. Lei non finisce la seduta, oggi". La frase (effettivamente del tutto insolita in Parlamento) ha suscitato reazioni durissime nei banchi dell'opposizione: Proprio Fiano ha scandito: "In dodici anni non ho mai sentito dire da un presidente della Camera 'lei non finisce la seduta'. Glielo dico per esperienza, decida lei la figura che vuole fare, se da presidente o da cioccolataio". Fico ha poi chiesto scusa a Borghi, ma oggi, per la prima volta, i rapporti tra l'uomo della sinistra M5S e il centrosinistra, i sono incrinati. Tanto che Maria Elena Boschi ha ricevuto applausi persino dal centrodestra quando ha detto: "Il gruppo Pd ha denunciato più volte un metodo vergognoso che ha fatto del Parlamento uno spettatore non pagante. Un fatto mai visto prima – ha tuonato l'ex ministro -. Pensavamo di averle viste tutte, ma Fico si è superato vestendo i panni del capogruppo del Movimento 5 Stelle. Non è più il garante di tutti, ha deciso di tutelare solo la sua parte".

Il Pd ricorre alla Consulta – In Aula c'è "una manovra blindata senza che nulla sia stato discusso". Il presidente uscente del Pd, Matteo Orfini, parla a nome dei Dem, ma – assicura – anche dell'intero Parlamento, quando spiega le ragioni per cui il suo partito ha depositato alla Consulta il ricorso sulla legge di Bilancio. I democratici lamentano di non aver potuto prendere visione del maxiemendamento arrivato in Senato solo un paio di ore prima della votazione, avvenuta nella notte tra il 23 e il 24 dicembre. Sollevano la violazione dell'articolo 72, che prevede "l'esame di una Commissione e poi della Camera stessa, e l'approvazione articolo per articolo per ogni disegno di legge". Il Presidente della Corte Giorgio Lattanzio ha deciso che il ricorso verrà esaminato dalla Camera di Consiglio della Consulta del 9 gennaio per decidere sulla sua ammissibilità.

Le controparti del ricorso sono la presidenza del Senato ("che ha agito da appendice del governo") e il governo ("che ha fatto delle forzature"), ma Orfini è furioso anche con il presidente della Camera, Roberto Fico, resosi corresponsabile, a suo parere, di una "pagina brutta della nostra democrazia", avallando le scelte del governo di escludere i parlamentari dalla discussione sulla manovra: "Non stupisce, ma dispiace", commenta deluso. La proposta fatta dai Dem per poter discutere il provvedimento non toccava i tempi del Parlamento, e prevedeva di discutere al Senato fino al pomeriggio del 26 dicembre. La risposta è stata negativa, e "si è espressa chiaramente la volontà del governo di impedire ai parlamentari di conoscere quello che si stava votando", sostiene il presidente dei senatori Pd, Andrea Marcucci, che definisce la circostanza "gravissima" e senza precedenti: "È stato ridicolo sentire i senatori di maggioranza che parlavano di una manovra che non conoscevano". Dario Parrini, capogruppo del Pd nella Commissione Affari costituzionali del Senato, considera i parlamentari di maggioranza quasi vittime del sistema, protagonisti di uno "spettacolo umiliante": "ridotti a marionette schiacciatasti dalla prepotenza del governo". La protesta del Pd non finisce col ricorso. Sabato 29 dicembre alle 11 i parlamentari Dem saranno in piazza Montecitorio a protestare e il 12 gennaio partirà un tour nelle piazze di tutta Italia. "Faremo quello che un grande partito di opposizione deve fare", giura Orfini.

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