L'ex ministro si è tirato fuori dalla corsa per la segreteria del partito. Ma l'ex premier si sfila dalle critiche e pensa a un suo partito: "Da mesi non mi preoccupo della Ditta, mi interessa di più il futuro del Paese". Il governatore del Lazio in testa nei sondaggi
Per ora pochi concetti e anche molto confusi. Guardando dall'esterno la stagione congressuale del Pd, si fa fatica a trovare il bandolo della matassa. Il partito resta dilaniato dalla interminabile stagione di renziani contro anti-renziani, con un appeal sull'elettorato sempre fermo allo stato comatoso e una corsa per la segreteria che fa notizia più per le vicende collaterali che per i contenuti delle mozioni. Marco Minniti ormai si è chiamato fuori dalla competizione, ufficialmente per il bene del gruppo, perché così "nessuno dei candidati può raggiungere il 51
Ufficiosamente i motivi sono l'improvvisa freddezza di Matteo Renzi nei confronti dell'ex ministro dell'Interno, la persona su cui aveva puntato le sue fiches. Lasciati gli incarichi a Palazzo Chigi prima, e al Nazareno poi, il 'senatore semplice' di Firenze ha sempre detto di non voler entrare nella partita delle primarie, ribadendolo anche nelle ultime ore: "Chiedetemi tutto, ma non di fare il piccolo burattinaio al Congresso del Pd". Non è un mistero che Renzi abbia progetti diversi in testa, quell'idea di un partito tutto suo è più di una fantasia dei media, come fa rintuzzare spesso al suo staff. Ma è nella fase embrionale, con così tante incognite a cui trovare una soluzione, che ipotizzare tempi brevi sarebbe un azzardo, anzi un suicidio. Nell'attesa, dunque, sarà ancora nelle file dei democratici. Alla sua maniera, però: "Da mesi non mi preoccupo della 'Ditta' Pd, mi preoccupo del Paese, che è più importante" e per questo "non mollo di un centimetro la battaglia contro i cialtroni che stanno mandando l'Italia in recessione".
Al Nazareno, però, un segretario andrà comunque eletto. I sondaggi dicono che Nicola Zingaretti viaggia poco sopra il 40%, ma il duo Martina-Richetti inizia a rosicchiare posizioni. E ora che non c'è più Minniti, la loro speranza è di intercettare parte dei consensi dell'area renziana. Del gruppo fa parte anche Graziano Delrio, un tempo braccio destro di 'Mosè', come il capogruppo alla Camera soprannominò Renzi, che ormai ha separato il suo destino da quello dal leader, anche se sottolinea di non essere il suo "pugnalatore": "Spero che Matteo non uscirà dal partito, la sua uscita non sarebbe indolore, ma sono entrato in politica per costruire il Pd sull'onda dell'Ulivo e morirò orgogliosamente democratico". Chi, invece, non sembra poterne più è Carlo Calenda, tranchant nel giudizio sul centrosinistra: "Sembra diventato un asilo d'infanzia". Sullo sfondo di questa ragnatela si fa largo anche l'ipotesi di "far saltare" il Congresso o magari congelarlo fino a dopo le Europee. L'idea parte dall'area vicina all'ex premier, evocando quel 'richiamo' all'unità che in queste ore si leva da più parti all'interno del Pd.
Difficilmente, però, si riuscirà a spegnere la macchina in corsa. Non lo permetterà di certo Zingaretti, che riconosce l'onore delle armi a Minniti: "Ha fatto una scelta di grande coerenza e responsabilità". Il governatore gli lancia anche messaggi di dialogo: "Marco rimane una straordinaria risorsa, che sicuramente farà parte, per quanto mi riguarda, del nuovo gruppo dirigente". La strada verso le primarie del 3 marzo si fa sempre più in salita.
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