Ore concitate, a tratti roventi, sia alla Camera sia in Senato, su due provvedimenti 'bandiera' per i firmatari del contratto di governo: Lega e M5S
Due rami del Parlamento praticamente appesi a una intesa politica. Sono ore concitate, a tratti roventi, sia alla Camera sia in Senato, su due provvedimenti 'bandiera' per i firmatari del contratto di governo: Lega e M5S. Dopo il condono per Ischia, il pomo della discordia, questa volta, è la prescrizione su cui i pentastellati stanno convogliando la maggior parte delle aspettative, in termini di consensi elettorali, al grido 'onestà' contro i corrotti e i colpevoli. L'accordo non c'è, i nervi sono tesi.
Il decreto legge su immigrazione e sicurezza e il disegno di legge sull'anticorruzione si sono arenati. Bonafede difende il suo provvedimento e non cambia linea, trovando l'ostilità del Carroccio. La merce di scambio a questo punto diventa il decreto Sicurezza, all'esame di palazzo Madama, e una questione di fiducia, annunciata, ma che non arriva mai. L'aula del Senato apre le sue porte e si convoca per poi riaggiornasi per ben tre volte. Il sottosegretario all'Interno, Nicola Molteni, prima chiede una sospensione fino alle 13 perché si sta ancora lavorando al maxi emendamento, poi un'altra fino alle 16,30 perché il testo è stato depositato al Mef per la bollinatura. Matteo Salvini non c'è, è ancora in Ghana.
Intanto alla Camera si sfiora la crisi di nervi. In una sala Mappamondo gremita l'ufficio di presidenza fissato alle 11 non inizia. Assenti i presidenti delle due commisisoni, Affari costituzionali e Giustizia, Giuseppe Brescia e Giulia Sarti. Ne nasce un battibecco dai toni molto accesi tra Emanuele Fiano (Pd) e la relatrice Francesca Businarolo (M5S), poi rientrato con tanto di scuse da parte di Fiano. La riunione slitta alle 12,30, l'accordo non c'è. L'emendamento incriminato viene praticamente accantonato senza il parere di ammissibilità, con i presidenti che decidono di procedere con i lavori sulle circa 300 proposte di modifica. La prescrizione in sintesi viene congelata. Luigi Di Maio è ancora in Cina. Si tratta, ma senza il faccia a faccia tra Di Maio e Salvini la soluzione è lontana.
Intanto il Parlamento resta appeso a quello che i navigati della politica già chiamano 'baratto'. Perché di scambio politico proprio non si può parlare, spiegano, "nella prima Repubblica c'erano le alleanze, oggi ci sono i contratti". La situazione si sblocca, ma solo in parte, con la questione di fiducia posta dal governo sul decreto in Senato. Salvini esulta, ma la vittoria non è ancora in tasca e dopo una giornata di stop and go, tutto viene rimandato a un nuovo giorno, con il vicepremier leghista che prima di sedersi a un tavolo e discutere di prescrizione vuole l'ok al provvedimento che porta la sua firma.