Rossi, Emiliano e Speranza accusano il segretario dimissionario: "Ha scelto lui la strada della rottura"
Matteo Renzi formalizza le sue dimissioni da segretario Pd, dando avvio al countdown per il congresso dem che – da statuto – dovrà concludersi entro quattro mesi da oggi. Prima, quindi, delle elezioni amministrative di giugno e in tempo per un eventuale voto a settembre. Sebbene i venti di scissione siano ancora forti, fuori dall'hotel Parco dei Principi dove si riuniscono i 'mille' della direzione nazionale dem, l'ex premier non indietreggia. "Non potete chiedere a chi si dimette ora per fare il congresso di non candidarsi, perché questa non è una regola del gioco democratico", mette in chiaro. Renzi ammette di avere anche pensato "sul serio" al passo indietro, "per sistemare questa assurda situazione". Non sarebbe stata una soluzione adatta a un partito che si dice democratico, però: "Avete il diritto di sconfiggerci, non quello di eliminarci", tuona.
Il segretario dimissionario ribadisce il suo 'venite' e inizia la sua relazione parlando di "rispetto" reciproco. "Credo che il Pd abbia buttato via il tempo – dice – Fermiamoci. Fuori da qui ci stanno prendendo per matti". Ecco allora che, ancora una volta, si cimenta nel "riassunto delle puntate precedenti" e ripercorre la strada che lo ha portato ad assecondare le richieste di chi ha bussato alla sua porta, come Gianni Cuperlo, o lo ha chiamato in causa, minacciando anche il ricorso alle carte bollate, da un salotto tv, come Michele Emiliano. "Io non lo volevo fare il congresso", ammette. Poi è intervenuto "l'esperto di congressi" Piero Fassino. "Mi ha proposto la mossa del cavallo e ho accettato", racconta. Perché se la parola scissione fa "molto soffrire, c'è qualcosa che "l'ex premier gradisce ancora meno. "Peggio della parola scissione c'è solo la parola ricatto – avverte – Basta bloccare il partito con i diktat".
In ogni caso Renzi non ci sta a passare per chi perde campo a sinistra: "Non accetto che ci sia un copyright della parola sinistra. Anche se non canto bandiera rossa e non sventolo la bandiera socialista – sottolinea – credo che il Pd abbia un futuro che non è quello che altri immaginano". A chi sostiene che si arriverebbe a una nuova Margherita i renziani rispondono che non sono pochi gli ex ds a rimanere. Da Pietro Fassino a Maurizio Martina, da Andrea Orlando a Anna Finocchiaro. Il potere nel Pd, è l"inciso, "appartiene ai cittadini che vanno a votare alle primarie, non ai caminetti e alle correnti che ci sono a Roma".
Congresso sia, quindi. Il presidente Pd Matteo Orfini, che in questa fase congressuale sarà il reggente del partito, ha convocato per martedì la riunione della direzione che ha all'ordine del giorno la nomina della commissione per il congresso. Verranno decise le regole base a garanzia di tutti i candidati e poi inizierà il confronto nei circoli tra gli iscritti. Solo in una seconda fase si procederà alla presentazione delle candidature. Quali saranno gli sfidanti di Renzi è ancora tutto da vedere, con Roberto Speranza ed Enrico Rossi che sembrano intenzionati a condurre la loro lotta al 'renzismo' fuori dal partito.
Prova a recitare l'insolito ruolo di mediatore Michele Emiliano che decide di abbassare i toni e invita Renzi a smontare ogni alibi di scissione accettando una conferenza programmatica. Tra i due c'è l'impegno a mettercela tutta per evitare il peggio, ma non basta. La strada è ormai tracciata e non si torna indietro. Il segretario dimissionario decide di non replicare. Speranza, Emiliano e Rossi mettono nero su bianco su una nota la parola scissione, anche se la strada per arrivarci è ancora da stabilire. Il primo passo potrebbe essere la creazione di nuovi gruppi parlamentari a Camera e Senato.
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