Orfini prova a tendere la mano alla minoranza, mentre Guerini avverte: Nessun ultimatum

Roma, 18 feb. (LaPresse) – Lo spettro della scissione del Pd avrà agitato il sonno di molti stanotte. Oggi nell'hotel Parco dei Principi di Roma si sciolgono i nodi che tengono ancora legate maggioranza e minoranza e si capirà se l'avventura politica nata nel 2007 nel solco dell'Ulivo è destinata a perdere un pezzo importante delle sue radici. Sarà la relazione del segretario uscente Matteo Renzi e il voto dei mille riuniti nell'assemblea nazionale a decretare il futuro del primo partito del Paese. Sono ore concitate per i democratici che si rimbalzano la responsabilità di tenere unito il partito.

Maggioranza e minoranza si parlano a distanza, attraverso un palco, con telefonate e su Facebook. Il vicesegretario Lorenzo Guerini mette un freno: "Gli ultimatum non sono ricevibili". Nel mirino ci sono le parole di Michele Emiliano, Roberto Speranza ed Enrico Rossi, riuniti fin dal mattino al Teatro Vittoria di Roma per "rinnovare la proposta del Pd". Ma la proposta suona come un aut aut agli occhi dei renziani, e non solo. Sono punti imprescindibili per la sinistra la conferenza programmatica, il congresso fino a ottobre-novembre, il sostegno al governo Gentiloni fino al 2018, la legge elettorale senza capilista bloccati e capace di garantire rappresentatività e governabilità. Senza anche soltanto uno di questi, salta il banco. La maggioranza però non ci sta. Il ministro Dario Franceschini ricorda che il "Pd non è proprietà dei capi che litigano ma di milioni di persone che non vogliono la divisione". Andrea Orlando, l'altro mediatore, sostiene che "il Pd è ancora la scelta giusta".

Stessa posizione del ministro Maurizio Martina che lancia l'hashtag #noscissione e lo slogan 'sono Partito Democratico e non torno indietro', accompagnandolo a un chiaro appello: "Mai come ora, anziché divederci, ritroviamoci". Tocca nella serata di ieri a Matteo Orfini rispondere, in veste istituzionale, da presidente del partito. Orfini prova a smontare punto per punto le tesi della minoranza con un post Facebook. "Sono ore molto delicate per il Pd", ammette e sottolinea la contraddizione di Speranza che prima chiede il "congresso subito dopo il referendum" mentre ora vuole farlo slittare in autunno. A stranezza si aggiunge stranezza per il presidente: "Vari leader della minoranza – spiega – hanno ribadito che dal loro punto di vista il principale problema del Pd è in chi lo guida. Contestualmente hanno, però, chiesto di non fare il congresso. O almeno di non farlo ora: abbiamo una guida inadeguata e pericolosa, ma lasciamola ancora lì". Orfini evidenzia poi come l'eventuale scissione, anziché garantire lunga vita al governo Gentiloni, lo metta più a rischio. E sfata l'ultimo alibi: la minoranza chiede una discussione programmatica preliminare? "Siccome voglio prendere sul serio questa esigenza – mette nero su bianco Orfini – credo che una soluzione possa essere di dedicare la prima parte del congresso a una profonda discussione programmatica da svolgere in ogni federazione", da quando viene indetto a quando si presentano le candidature, precisa. Il tempo c'è, la volontà politica anche, Orfini si impegna "personalmente a garantirlo". Per il braccio destro di Renzi – che si prepara a prendere le redini del partito in caso di dimissioni – se si vuole, si può "andare avanti insieme". L'importante è sgomberare il campo dalle richieste avanzate per "farsi dire solo no", è la voce unanime della maggioranza che parla. Niente gioco del cerino, dunque. Questo l'appello rivolto a quella fetta della minoranza che ancora oscilla, come sembra facciano il governatore della Puglia ma soprattuto Gianni Cuperlo. La convinzione, per il leader dei Giovani turchi più vicino a Renzi, è che quella dei bersaniani sia una "posizione minoritaria nella minoranza". Domani, salvo sorprese, la risposta.

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