Intervista all' economista e esperta di terrorismo, il cui ultimo libro "Mercanti di Uomini", è uscito da pochi giorni

Il traffico di migranti è un business che frutta alle organizzazioni che lo gestiscono milioni di dollari all'anno. Le rotte utilizzate, attraverso il deserto del Sahara, sono le stesse del traffico di cocaina. Chi lo gestisce? Su questa attività, nata dalle risposte occidentali alla tragedia dell'11 settembre e dal collasso di molti Stati chiave in Africa e Medioriente, ha indagato Loretta Napoleoni, economista e esperta di terrorismo, nel suo ultimo libro "Mercanti di Uomini", edito da Rizzoli è in libreria in questi giorni.

Nel suo libro individua uno stretto collegamento trai rapimenti di occidentali – giornalisti, cooperanti ma anche turisti – in Medioriente e Nord Africa e il flusso di migranti in arrivo in Europa. Cosa ha scoperto?

"Gli stranieri vengono rapiti per chiedere un riscatto. Il primo caso è del 2003. In quell'occasione sono stati sequestrati 32 europei per i quali sono stati 6 milioni di euro. Con questi soldi è stata creata Al Quaeda nel Magreb, che non ha nulla a che vedere con Al Quaeda".

A un certo punto, però, c'è stato un cambio di passo.

"Tra il 2007 e il 2008 la stessa organizzazione decide di investire parte dei soldi dei rapimenti, circa 170 milioni di dollari, per iniziare un altro business, quello del contrabbando dei migranti. E così inizia la loro partecipazione nel traffico di uomini tra l'Africa occidentale fino alla Libia".

A Milano è stato arrestato un somalo che dirigeva con ferocia un campo illegale in Libia. I governi Berlusconi e Prodi hanno dato fondi alla Libia per "contenere" i flussi migratori, senza controllare come questo venisse fatto. E adesso Angela Merkel punta a fare lo stesso in Turchia. È altro terreno fertile per lo jihadismo?

"Sicuramente. Il problema è che questi finanziamenti sono un boomerang. Noi paghiamo i riscatti per gli ostaggi, loro li reinvestono e trafficano i migranti che poi vengono in Europa. I migranti vengono bloccati in Turchia e vengono messi in campi profughi, dove sicuramente sarà possibile reclutare la prossima generazione di jihadisti. È anche vero, però, che se non ci sarà un processo di integrazione in Europa, anche qui sarà facile per lo Stato Islamico o altre organizzazioni jihadiste reclutare nuovi membri. Il problema va affrontato sul piano della sicurezza. Questo potrebbe convincere gli europei a smettere di vedere i migranti come invasori e rendersi conto che il loro arrivo in massa è legato anche alle nostre politiche".

Lo Stato Islamico in Medio Oriente perde terreno, ma colpisce nel cuore dell'Europa, come dimostra il caso di Amri, il killer di Berlino. Cosa fare per prevenire questi attacchi?

"Bisogna pacificare il Medioriente, dove lo jihadismo continua a crescere. In Europa il processo di integrazione può avere un impatto positivo, ma fintanto che esiste i Paesi dall'altro lato del Mediterraneo saranno destabilizzati, le persone continueranno a venire nel Vecchio Continente e sarà sempre più difficile integrarli. È un circolo vizioso".

Il ministro degli Interni Marco Minniti ha proposto la formula del lavoro obbligatorio per chi chiede asilo. È una strada percorribile o rischia di acuire le tensioni sociali?

"Per me è impossibile. Cosa potrebbero mai fare i richiedenti asilo? Non possono lavorare fintanto che non hanno ottenuto un permesso di soggiorno e residenza. E spesso ci vogliono almeno due anni. Allora cosa facciamo? Chiunque scende dai barconi lo prendiamo, lo mandiamo a raccogliere i pomodori a Rosarno? Sono proposte che vengono fatte per cavalcare la tigre del razzismo contro i migranti. Senza contare che se temiamo che tra loro ci siano dei jihadisti, cosa che non è ancora successa fortunatamente, li mettiamo a lavorare, così diamo loro la possibilità di organizzare attentati in maniera più semplice?"

L'elezione del nuovo presidente Usa Donald Trump, così come la Brexit, sono anche risposte all'emergenza migranti e agli effetti della globalizzazione, oltre che un forte segnale che si vuole cambiare rotta. Cosa possono fare le altre forze politiche, quelle non populiste?

"Si è già cambiato rotta. L'establishment come lo abbiamo conosciuto fino a oggi non esiste più. Esiste un populismo sfrenato, ma c'è anche una grossa fetta di popolazione americana e occidentale che è disposta a trovare soluzioni che non siano di radicale opposizione nei confronti dei migranti, ma che non vuole scegliere la strada percorsa finora. È un momento di grandi opportunità. Bisogna vedere se qualcuno riesce a coglierle. Ci vogliono i politici".

E Trump?

"Trump non sappiamo esattamente cosa farà. Aspettiamo i famosi 100 giorni dopo il suo insediamento e solo allora potremo capire meglio la strada che percorrerà. È possibile che il suo populismo si riveli semplicemente uno strumento per raccogliere consenso elettorale, ma che alla fine Trump non metta in atto gran parte di ciò che ha detto. Sto pensando ad esempio, oltre alla costruzione del muro con il Messico, anche alla cacciata dei 12 milioni di immigrati semi illegali negli Usa a cui Obama ha dato il permesso di lavoro ma non il passaporto".

In questo nuovo ordine mondiale quali sono i Paesi del Medio Oriente da far sedere al tavolo per cercare di contenere lo jihadismo?

"La Turchia, l'Iran. Non credo che l'Arabia Saudita verrà invitata, anche se dovrebbe giocare un ruolo in questa partita. Alla fine, però, la situazione dello jihadismo verrà risolta dalla Russia, che al momento ha la presenza più forte in Medioriente. Verrà schiacciato com'è avvenuto in Cecenia. Parliamo di un intervento pesante. È anche possibile però che si opti per una spartizione di Siria e Iraq per creare uno Stato sunnita. Potrebbe essere una soluzione più tranquilla, sempre che Trump sia d'accordo. Lui, in ogni caso, è l'uomo del compromesso e certamente cercherà l'accordo con la Russia".

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