di Fabio De Ponte
Roma, 4 nov. (LaPresse) – Doveva essere una assemblea per rispondere alle critiche e ricompattare il partito. Invece si è trasformato in un ulteriore episodio di sfilacciamento, con tre parlamentari che hanno annunciato l’intenzione di lasciare il Pd: Alfredo D’Attorre, Giampaolo Galli e Vincenzo Folino. L’incontro del premier Matteo Renzi con i parlamentari Pd a Montecitorio, durato oltre tre ore e terminato oltre la mezzanotte, non ha sortito l’effetto sperato.
“Renzi dice che i sogni sono importanti. Solo i suoi però”, ha spiegato D’Attorre lasciando Montecitorio. “Dice – ha aggiunto – che non c’è spazio a sinistra del Pd. Mi pare che per lui non esista spazio per la sinistra né dentro né fuori dal Pd”. Al centro della sua polemica la legge di Stabilità, sulla quale contesta a Renzi di aver lasciato la possibilità solo di discutere “questioni di dettaglio”. Ma anche la vicenda Marino, “segno di come ormai è gestito il Pd: senza organi collettivi democratici – ha detto – nel timore di affrontare anche sedi pubbliche di discussione come il Consiglio comunale e con decisioni che vengono prese dal presidente del Consiglio, che è anche segretario, che poi devono essere attuate ed eseguite da tutti ai diversi livelli”.
“Credo sia un errore, dovrebbe continuare la sua battaglia nel Pd. E’ anche un amico, mi dispiace”, ha commentato il presidente del partito, Matteo Orfini. Intanto oggi Renzi si prepara ad un’altra battaglia, quella con le Regioni. Alle 18 vedrà il presidente della Conferenza degli enti, Piero Chiamparino, un esponente del suo stesso partito e tra i suoi più antichi sostenitori, ma con il quale si trova oggi in rotta di collisione. E se annuncia un “decreto per salvare i conti delle Regioni dall’intervento della Corte dei conti”, non dimentica di citare “gli sprechi” e attacca: “Non c’è un presidente di Regione che guadagni meno del presidente del Consiglio”. A nulla valgono le rassicurazioni: “Sulla sanità, sulla cultura e sul sociale l’Italia quest’anno investe di più. È la nostra visione dei prossimi vent’anni”, dice.
Nel tentativo di ricucire, Renzi fa anche un gesto distensivo, quello di portare a Pier Luigi Bersani un sigaro da Cuba. Secondo quanto raccontano i presenti, arrivando all’assemblea, dopo aver salutato alcuni deputati e senatori, il premier ha cercato Bersani, che però non era ancora arrivato. Allora è andato da Roberto Speranza, altro esponente della minoranza ed ex capogruppo alla Camera, per lasciargli il regalo, un sigaro Romeo y Julieta. Bersani poi è arrivato poco dopo, ma Renzi aveva già iniziato il suo intervento.
“Non fumo neanche più i toscani…”, è stata però la risposta dell’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani. Insomma, anche simbolicamente, la sanità – cuore della spesa delle Regioni – resta il punto dolente. Anche perché, sottolinea l’eponente dem, “una risonanza magnetica vale come due Tasi”.
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