di Donatella Di Nitto

Roma, 25 gen. (LaPresse) – Il successore di Giorgio Napolitano sarà eletto alle quarta o alla quinta votazione. Lo ha assicurato il premier Matteo Renzi più volte, forte della sua maggioranza che numericamente conta più dei 505 voti necessari a partire dalla quarta votazione, quando per eleggere il capo dello Stato serve la maggioranza assoluta: quindi 50 più uno dei grandi elettori, che sono in tutto 1009. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd infatti può contare sui 415 voti dei parlamentari, più 34 delegati regionali di centrosinistra. Ai 449 Dem si aggiungono i partiti della maggioranza, anche se all’interno del centrodestra anche in passato non sono mancate le defezioni, soprattutto nei Popolari per l’Italia.

Sulla carta quindi il Partito democratico incassa anche i 70 voti di Area popolare (Ncd-Udc) di Angelino Alfano, 32 di Scelta civica, 13 appunto degli ex montiani di Pi. A rendere ricco il piatto l’appoggio esterno di Forza Italia con i suoi 130 grandi elettori. Senza dimenticare i 21 delegati regionali del centrodestra, ufficialmente Renzi avrebbe a disposizione 694 voti e la preferenza possibile che potrebbe venire dai 6 senatori a vita, di cui fa parte appunto Napolitano. Allora perché puntare sulla quarta e non già sulla prima votazione? Perchè le variabili in questo esecutivo sono davvero molte e non provengono solo dal Nazareno. I dissidenti Dem capeggiati a Pippo Civati, Gianni Cuperlo e Stefano Fassina tra senatori e deputati contano circa 140 unità mentre in Forza Italia l’ala di Raffaele Fitto potrebbe portare via tra i 30 e i 40 voti. Il capo dell’esecutivo quindi sa che al momento sono 490 i voti certi e che il segreto dell’urna vanta già quasi 200 franchi tiratori. In tutto mancano 15 voti per passare alla quarta votazione.

Nel 2013 l’impasse in parlamento fu superato nella sesta votazione con la rielezione di Giorgio Napolitano. Per il suo secondo mandato Napolitano raccoglie 738 preferenze e conquista quindi un altro primato quello del presidente che ancora in carica viene rieletto. Un bis storico arrivato sulle ceneri di un fallimento politico, quello di Peri Luigi Bersani, che gli costò la segreteria Dem. La prima elezione del presidente emerito fu anche breve: 4 scrutini in tutto, anche se la soglia dei consensi fu bassa: 54,8 preferenze (543 voti su 990). Lunghe ed estenuanti invece furono le votazioni che portarono all’elezione di Giuseppe Saragat e Giovanni Leone, mentre lampo furono quelle di Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, entrambi eletti al primo scrutinio. Il presidente ‘picconatore’, nel 1985, raccolse il 75,4% delle preferenze (752 voti su 997) grazie all’accordo trovato, tra i corridoi del Parlamento, tra Dc e Pci. La candidatura di Ciampi, invece, venne avanza nel 1999 da un vasto schieramento parlamentare e in particolare dall’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema. Walter Veltroni si occupò delle trattative, ottenendo il benestare dell’opposizione di centro-destra, anche se Ciampi, che non era iscritto ad alcun partito, era molto vicino all’Ulivo. L’ex governatore della Banca d’Italia fu proclamato quindi decimo presidente della Repubblica con il 71,4% delle preferenze (707 voti su 990).

L’elezione più lunga e difficile nella storia della Repubblica fu invece quella di Giovanni Leone nel 1971. Ben 23 scrutini che prolungarono i lavori parlamentari per quasi 25 giorni. Per Leone furono determinanti i voti del Movimento sociale italiano. Nei primi scrutini, il candidato ufficiale della Dc era stato il presidente del Senato, Amintore Fanfani, che si ritirò a causa dell’azione dei cosiddetti ‘franchi tiratori’ del suo stesso partito, lasciando il passo a Leone. Il giurista napoletano detiene anche un altro primato negativo: è stato il presidente che ottenne il minor numero di consensi: 52% (518 voti su 995). Anche per il socialista Giuseppe Saragat ci vollero 21 votazioni e fu eletto con il 68,9% dei consensi (646 voti su 937). Il capo dello Stato che ottenne invece più voti fu Sandro Pertini, con l’83,6% delle preferenze, ossia 832 voti su 995, anche se ci furono numerosi scrutini, ben 16.

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