Roma, 19 giu. (LaPresse) – I giudici della Corte Costituzionale hanno respinto il ricorso sul conflitto di attribuzione tra poteri sollevato dalla presidenza del Consiglio dei ministri contro il tribunale di Milano in merito al legittimo impedimento dell’allora premier Silvio Berlusconi a partecipare all’udienza del processo Mediaset del primo marzo 2010. In quella data, infatti, gli avvocati del Cavaliere chiesero di riconoscere il legittimo impedimento visto che il loro assistito era impegnato a guidare il Consiglio dei ministri.


LA REAZIONE DI BERLUSCONI- RESTO LEALE A GOVERNO – “Dalla discesa in campo ad oggi, la mia preoccupazione preminente è sempre stata ed è il bene del mio Paese. Perciò anche l’odierna decisione della Consulta, che va contro il buon senso e tutta la precedente giurisprudenza della Corte stessa, non avrà alcuna influenza sul mio impegno personale, leale e convinto, a sostegno del governo né su quello del Popolo della Libertà. E ciò nonostante continui un accanimento giudiziario nei miei confronti che non ha eguali nella storia di tutti i Paesi democratici. Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura ormai da vent’anni, e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un’Italia più giusta e più libera”. Così in una nota Silvio Berlusconi.

IL COMUNICATO DELLA CONSULTA – “La Corte costituzionale – si legge in una nota della Consulta- in relazione al giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato vertente fra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Tribunale ordinario penale di Milano, ha deciso che, in base al principio di leale collaborazione – e fermo rimanendo che il giudice, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, non può invadere la sfera di competenza riservata al Governo -, spettava all’autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all’udienza penale del 1° marzo 2010 l’impegno dell’imputato Presidente del Consiglio dei ministri di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno, giorno che egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all’udienza”.

“A questa decisione – si legge sempre nella nota – la Corte è giunta osservando che, dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall’imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), né circa la necessaria concomitanza e la “non rinviabilità” dell’impegno, né circa una data alternativa per definire un nuovo calendario”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata