Roma, 9 apr. (LaPresse)- Il decreto ‘salva-Ilva’ oggi è al vaglio della Corte costituzionale. Stamattina, intorno alle 10 la consultà esaminerà i due ricorsi presentati dal gip di Taranto Patrizia Todisco e dal tribunale dell’appello cautelare sulla legittimità della legge 231/2012. Secondo il gip Todisco la legge, votata dal parlamento a fine dicembre 2012, vìola ben 17 articoli della Costituzione riguardanti principi come il diritto alla salute, l’indipendenza della magistratura e l`uguaglianza dei cittadini davanti alla legge oltre che la convenzione dei diritti dell’uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Nell’ordinanza di 39 pagine con cui la gip rimise alla Consulta la valutazione della legge, il magistrato scrisse che “l’attività inquinante viene autorizzata per 36 mesi nonostante sia dannosa per la salute e l’ambiente” e che la legge “permette al potere esecutivo di bloccare e neutralizzare la doverosa iniziativa della magistratura, funzionale alla repressione e prevenzione di reati”.
L’udienza è la seconda delle cinque a ruolo. Il verdetto potrebbe arrivare in serata o domani. Relatore sarà il giudice Gaetano Silvestri. Si è costituito Bruno Ferrante, presidente dell’Ilva, rappresentato dagli avvocati Luisa Torchia, Francesco Mucciarelli ed Adriano Raffaelli. Alcuni allevatori, costretti ad abbattere centinaia di ovini avvelenati dalla diossina, si sono costituiti con l’avvocato Sergio Torsella. E il Wwf domani chiederà di intervenire nel giudizio presentando due memorie sul tema della tutela della salute e dell’ambiente. Nella stessa giornata è prevista una manifestazione di cittadini ed ambientalisti di Taranto davanti a Montecitorio per sensibilizzare il Parlamento sull’emergenza ambientale che si vive nella città pugliese a causa dell’inquinamento.
Col decreto legge, approvato nel dicembre scorso, il governo Monti autorizzò l’Ilva, ritenuta azienda di “priorità strategica nazionale”, a rientrare in possesso degli impianti sequestrati nel luglio 2012 e riprendere la produzione di acciaio con l’impegno di adeguare gli impianti alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero per l’Ambiente, contenute nella legge stessa. La legge consentiva anche all’Ilva di rientrare in possesso dell’acciaio sequestrato dalla magistratura perché ritenuto provento di reato (disastro ambientale ed avvelenamento di sostanze alimentari).
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