Roma, 27 giu. (LaPresse) – Palazzo Madama dà il primo (parziale) via libera al Senato federale, fortemente voluto dalla Lega Nord, mutando i rapporti di convergenza fra le forze che compongono la maggioranza del Governo Monti. L’asse ABC traballa alla vigilia del Consiglio europeo di giovedì e venerdì e riemergono vecchie maggioranze. Il dato politico è lampante: il patto costituente Pdl-Pd-Terzo Polo sembra destinato a dissolversi a causa di uno scambio, un ‘do ut des’ che al Pdl frutterà il sì della Lega al semipresidenzialismo. Il risultato è della prima parte dell’accordo è l’approvazione da parte del Senato dell’emendamento Calderoli-Divina, che propone l’istituzione del Senato Federale, con 153 voti favorevoli, 136 contrari e 5 senatori astenuti. Se il Carroccio festeggia, il Pdl ride sotto i baffi.
“Giudichiamo molto positivo il voto di oggi e respingiamo le critiche al mittente visto che avevamo annunciato da tempo la nostra intenzione di introdurre nel ddl sulle riforme costituzionali le norme sul presidenzialismo e sul Senato federale”, dice un soddisfatto Maurizio Gasparri, capogruppo del partito di via dell’Umiltà a palazzo Madama, e assieme al suo vice, Gaetano Quagliariello, spiega che il Pdl ha cercato una mediazione e un’intesa (senza trovarla) sulla via del semipresidenzialismo, persino aprendo al doppio turno. Per il Pdl, spiegano, la porta a Pd e Udc non è chiusa definitivamente. Ma l’impressione é che Pd e Udc non abbiano intenzione di infilarsi nello spiraglio pidiellino e i due capigruppo, Anna Finocchiaro (Pd) e Gianpiero D’Alia (Udc), non hanno risparmiato parole al veleno per l’accordo della nuova ‘vecchia’ maggioranza. Per entrambi le riforme costituzionali sono morte oggi. “Che le riforme fossero morte, lo avevamo capito qualche giorno fa. Stasera abbiamo il certificato di morte”, ha commentato l’ormai ex relatore del ddl di riforma costituzionale, Carlo Vizzini, che tenendo fede alle promesse fatte ha rimesso il mandato da relatore subito dopo il sì all’emendamento.
“Molto” amareggiato “perché ci avevamo lavorato tutti insieme”, Vizzini spiega lucidamente che “c’è stato un cambio di maggioranza su un accordo peraltro non negato da nessuno. C’è un’intesa Pdl-Lega che butta a mare l’intesa precedente ABC. Ma bisogna vedere se l’intesa Lega-Pdl reggerà anche alla Camera”. “Siamo entrati in quest’aula – spiega – con una maggioranza di 2/3 e ora c’è stato un voto con una maggioranza risicata, con uno scarto al massimo di 11 voti. Così sarà necessario il referendum confermativo” con annesse conseguenze del caso. Al testo tornato ora in commissione serve un nuovo relatore e Vizzini che, in qualità di presidente della commissione Affari costituzionali rivendica la prerogativa di nominarlo, aggiunge: “Che fretta abbiamo tanto anche se si approva, entrerà in vigore solo nel 2018”. In tutto questo il governo ha fatto da spettatore, chiamandosi fuori dall’agone, ma non ha potuto registrare che mentre a Montecitorio la sua maggioranza approvava le mozioni di sostegno per il Consiglio europeo, a palazzo Madama la stessa maggioranza si sgretolava, forse, irrimediabilmente.
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