Per Javier Milei è un momento cruciale. A due anni dalle elezioni che lo hanno portato alla presidenza dell’Argentina, lui e la sua ‘motosega’ simbolo dei tagli alla spesa pubblica vanno alla prova delle urne, giocandosi il futuro della realizzazione dell’agenda. Nel voto di midterm di oggi, domenica 26 ottobre, gli argentini sono chiamati a rinnovare la metà della Camera (cioè 127 seggi, con un mandato di 4 anni) e un terzo del Senato (24 seggi, con un mandato di 6 anni), per un Congresso dal volto nuovo a partire dal 10 dicembre.
L’aiuto di Trump a Milei
Ad alzare la posta in gioco di queste elezioni è giunto negli ultimi giorni quello che voleva essere l’aiuto di Donald Trump all’alleato ultraliberista. Durante la recente visita di Milei alla Casa Bianca, il presidente Usa ha accordato all’Argentina un importante aiuto finanziario di 20 miliardi di dollari, ma lo ha subordinato alla vittoria di Milei nel voto di midterm. Se perde “saremo fuori” e “non saremo generosi con l’Argentina”, ha minacciato il tycoon. Una decisione che ha portato ulteriori incertezze, lasciando i mercati con il fiato sospeso.
Che il partito di Milei – La Libertad Avanza (LLA) – avesse bisogno di ampliare la sua presenza in Parlamento era chiaro da tempo, visto che finora ha governato senza avere il controllo delle due Camere. Ma il comodo vantaggio di oltre 10 punti di cui il partito di Milei aveva goduto nei sondaggi fino a prima dell’estate europea si è andato assottigliando sempre di più con una serie di batoste politiche inanellate negli ultimi mesi, che hanno messo in dubbio l’immagine di combattente contro la casta che il presidente argentino ha voluto costruire.
Argentina tra scandali, corruzione e disoccupazione
L’aura di infallibilità di Milei aveva già iniziato a vacillare a febbraio, quando promosse sui social una criptovaluta poi rapidamente crollata. Ma a peggiorare le cose è stato lo scandalo che si è abbattuto sulla sorella e capa di Gabinetto Karina Milei per un presunto sistema di corruzione nell’agenzia nazionale per la disabilità, con il successivo lancio di pietre contro la carovana di Milei e della sorella, costretti a essere evacuati durante un evento di campagna elettorale. Il preludio della sconfitta schiacciante subita da Milei nelle elezioni locali di settembre a Buenos Aires. All’inizio di ottobre il colpo finale, con il candidato di punta di Milei nella provincia di Buenos Aires, José Luis Espert, che si è ritirato dalla corsa di midterm dopo aver ammesso di aver ricevuto un pagamento (dice per servizi di consulenza) da un uomo d’affari arrestato per narcotraffico. Il tutto mentre la mossa di Trump ha acceso di colpo i riflettori internazionali su questo voto.
Calcolare cosa potrebbe considerarsi una vittoria e cosa no è complesso, ma a grandi linee si ritiene che per Milei sarebbe un successo qualsiasi risultato intorno al 35%, usando come barometro il 30% che aveva ottenuto al primo turno delle presidenziali. Nei due anni dal suo arrivo alla Casa Rosada, l’autodefinito ‘anarcocapitalista’ è riuscito ad abbassare l’inflazione in modo considerevole, ma gli argentini non hanno ancora raccolto i frutti degli sforzi affrontati con i drastici tagli. Se prima la principale preoccupazione era l’inflazione, ora sono corruzione e disoccupazione.
Le importazioni a basso costo hanno distrutto il settore manifatturiero. La spesa è crollata, schiacciata dall’aumento della disoccupazione e dalla diminuzione dei salari e i tagli ai sussidi significano che, anche se i prezzi si sono stabilizzati, gli argentini pagano di più per biglietti dell’autobus, bollette e l’assistenza sanitaria. Un aspetto che potrebbe pesare sull’esito di queste elezioni, considerate come un referendum di medio termine sull’operato del presidente, mentre le prossime presidenziali sono in programma per il 2027.
Milei e il suo governo a suon di veti
La minoranza più ampia in Parlamento è in mano ai peronisti, cosa che finora ha costretto Milei a governare usando il suo potere di veto. Funziona così: il Congresso approva delle leggi, Milei pone il veto e i testi tornano in Parlamento, dove per essere approvati necessitano a quel punto del sostegno di oltre i due terzi di deputati e senatori. Di volta in volta, dunque, Milei ha dovuto trovare un sostegno politico per i suoi pochissimi parlamentari, trovando spesso questo supporto nei parlamentari legati all’ex presidente Mauricio Macri. Non disponendo di una maggioranza propria, l’obiettivo per Milei è di arrivare ad avere un terzo dei voti in ogni Camera, in modo da poter quanto meno contrastare i futuri tentativi di bypassare i suoi veti. In tutto questo il governo ha perso due pezzi importanti, ulteriore colpo prima del test delle urne.
Milei e il rimpasto già annunciato
Milei aveva già annunciato un rimpasto per dopo le elezioni, visto che diversi ministri entreranno al Congresso. Ma due ministri di peso hanno annunciato a poche ore dal voto le dimissioni, che saranno effettive dal giorno dopo l’Election Day. Il ministro degli Esteri Gerardo Werthein si è dimesso mercoledì, dopo essere finito al centro di polemiche e critiche da quella parte di governo vicina al potentissimo consulente Santiago Caputo, che lo aveva indicato come responsabile della presunta confusione sulle elezioni che avrebbe portato alla subordinazione dell’aiuto di Trump alla vittoria alle urne. Giovedì è stata la volta del ministro della Giustizia Mariano Cúneo Libarona, che ha lasciato adducendo motivi personali, nel giorno in cui finiva la campagna elettorale. Per la chiusura Milei ha scelto Rosario, la terza città del Paese, mantenendo il suo usuale stile da rock star contro il sistema. L’opposizione peronista ha tenuto il suo evento principale invece nella sua roccaforte elettorale, la provincia di Buenos Aires, con il governatore Axel Kicillof e l’ex candidato presidenziale Sergio Massa apparsi insieme sul palco dell’Università San Martin.

