L’annuncio del vertice Trump-Putin a Budapest ha spiazzato tutti in Europa. Con il governo ungherese che gongola per la rivincita dopo anni di esclusione dai tavoli europei per la sua linea anti-ucraina. E un grattacapo per l’Ue, dove vige il divieto di sorvolo di aerei russi, e resta l’obbligo per l’Ungheria di rispettare il mandato di arresto per crimini di guerra verso Putin emesso dalla Corte penale internazionale.
A Budapest l’accoglienza di Orban
L’Esecutivo guidato dal sovranista Viktor Orban “accoglierà con favore” Putin, ribadisce il ministro degli Esteri Péter Szijjartó, precisando che non è necessaria l’approvazione di alcuna istituzione o alleato per ospitare il presidente russo. “Gli assicuriamo che potrà entrare in Ungheria, condurre negoziati di successo e poi tornare a casa. Non c’è bisogno di consultare nessuno. Siamo un Paese sovrano”, assicura.
Su Putin e il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, pendono sanzioni che prevedono il congelamento dei beni ma non il divieto di viaggiare nell’Ue, precisa una portavoce della Commissione europea. Mentre per quanto riguarda il divieto sullo spazio aereo europeo per i voli russi, compresi i voli charter, “gli Stati membri possono concedere deroghe sulla direzione di marcia, ma tali deroghe devono essere concesse dagli Stati membri individualmente”, aggiunge.
Le disposizioni della Corte penale internazionale e le possibili rotte
Resta però il nodo del rispetto delle disposizioni della Corte dell’Aja. Gli Stati parte dello Statuto di Roma sono tenuti a cooperare pienamente con la Cpi, arrestare e consegnare una persona se questa entra nel loro territorio. Il sorvolo aereo non equivale legalmente all’ingresso territoriale in senso pieno, finché non avviene un atterraggio o uno scalo tecnico. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che “non è ancora chiaro” quale sarà la logistica del volo del presidente a Budapest. Esclusa per ovvie ragioni l’unica rotta diretta, quella ucraina, gli altri possibili itinerari di cui si sta discutendo sono quella Bielorussia-Polonia-Slovacchia-Ungheria, difficile per la presenza di Varsavia, e quelle più probabili che attraversano Turchia, Mediterraneo, Montenegro oppure la rotta balcanica tramite Albania e Kosovo, Serbia e infine Ungheria.
Una volta atterrato nella capitale ungherese, in teoria le autorità di Budapest dovrebbero arrestarlo per il mandato della Cpi, anche se “è triste dirlo ma nessuno si sorprenderebbe se gli ungheresi non arrestassero Putin. Tutti se lo aspettano”, commenta un alto diplomatico Ue. D’altronde, nemmeno il 3 aprile scorso, quando il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è recato a Budapest, è stato rispettato il mandato. Anzi, proprio quel giorno Orban ha annunciato il ritiro dalla Corte, che però non riguarda i casi passati e diventa effettivo solo dopo un anno. “La Cpi fa affidamento sugli Stati per l’esecuzione delle sue decisioni. Questo non è solo un obbligo giuridico nei confronti della Corte ai sensi dello Statuto di Roma, ma anche una responsabilità nei confronti degli altri Stati parte”, ribadisce il portavoce della Corte.
La posizione dell’Unione europea
Anche l’Ue reitera il suo sostegno alla Corte e ricorda che anche il Consiglio europeo nel 2023 “ha invitato tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche attraverso la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti”. Questo sulla carta, di fatto nessuno più si scandalizza che i negoziati sull’Ucraina stiano passando sopra la testa dell’Ue. Anzi, i funzionari europei accolgono con favore l’iniziativa di Trump, salutandola come un passo avanti negli sforzi per raggiungere una pace giusta e duratura. E probabilmente, quando sarà annunciata la data, si troverà il modo di far svolgere il vertice a Budapest senza intoppi.
Con il supporto e la supervisione degli Stati Uniti. Di certo, la scelta della capitale ungherese non rievoca buoni ricordi per Kiev. Fu proprio nella città sul Danubio, il 5 dicembre 1994, che venne siglato il “Memorandum di Budapest” con cui l’Ucraina fu costretta a cedere il suo arsenale nucleare di 1.900 bombe alla Federazione Russa in cambio del riconoscimento dei suoi confini territoriali e di garanzie di sicurezza che sono poi state violate.