La donna vive a Gaza City, con la famiglia si è dovuta spostare cinque volte dall'inizio della guerra: "Il mese a Khan Younis è stato un inferno, la morte ci circonda"

“Ogni volta che iniziamo a ricostruire le nostre vite, loro tornano a distruggere tutto da capo. Non viviamo la vita, le sopravviviamo“. Sono le parole di Noura Al-Qassasiyah a LaPresse, artista gazawi, nata in Germania e cresciuta a Gaza City. Le opere di Noura sono arrivate anche a Milano, qualche mese fa, durante una tre giorni di eventi femministi da Spazio Into: qui è stato proiettato un suo video-saluto, che raccontava la vita a Gaza durante il conflitto in corso. Una vita che, giorno per giorno, mese per mese, è sempre più difficile. 

Noura e la sua famiglia si sono spostati nella Striscia di Gaza cinque volte

“La mia famiglia ed io siamo stati sfollati circa cinque volte” spiega. “Abbiamo evacuato la nostra casa a Gaza per rifugiarci a Deir al-Balah durante la prima settimana della guerra. Ma quando gli spari israeliani ci hanno raggiunti a causa degli scontri vicini, abbiamo dovuto evacuare di nuovo—questa volta verso Rafah. Dopo l’invasione di terra lì, siamo stati costretti a trasferirci in una tenda a Khan Younis. Quel mese è stato un inferno“. “Alla fine, abbiamo trovato una casa di pietra a Deir al-Balah—solo muri, senza porte né finestre”.

Oggi, infine, “durante l’ultima tregua, siamo riusciti a tornare a casa nostra a Gaza” racconta la donna. Una situazione che però è di nuovo precaria, considerata la nuova offensiva israeliana, che prevede l’occupazione militare massiccia della Striscia da parte dell’Idf e la ‘deportazione’, di fatto, dei palestinesi. Chiedendo a Noura se teme di doversi spostare nuovamente risponde: “Purtroppo, è una possibilità molto reale. Ogni volta che iniziamo a ricostruire le nostre vite, loro tornano a distruggere tutto da capo. È veramente doloroso. Questa occupazione criminale potrebbe costringerci a qualsiasi cosa, in qualsiasi momento”.

L’artista: “L’arte è la mia resistenza, speranza che risorge sotto le macerie”

Noura Al-Qassasiyah spiega che è rimasta a Gaza e “non me ne sono mai andata, non perché non volessi, ma perché l’assedio imposto da Israele lo ha reso quasi impossibile”.

Il suo modo per ‘evadere’ da questa situazione è l’arte: “La mia arte è la voce di chi non ha voce”, racconta ancora a LaPresse. “È l’urlo di un popolo che gli aerei da guerra e i razzi cercano di mettere a tacere. È speranza e sogni che risorgono da sotto le macerie. Per me, l’arte è una forma di resistenza, una memoria indelebile, e una cultura che rifiuta di scomparire“. Noura è alla ricerca di gallerie, anche in Occidente, per esporre le sue opere: un modo per far arrivare un messaggio forte anche al di fuori della Striscia.

Noura Al-Qassasiyah: “Non viviamo la vita, le sopravviviamo. Non vi chiediamo compassione ma giustizia”

La risolutezza nelle parole di Noura sembra non tradire paura. “La paura è diventata parte della nostra vita quotidiana—ma non ci ferma. Non viviamo la vita—le sopravviviamo. Eppure, continuiamo ad amare, a dipingere, a scrivere e a sognare. La situazione è oltre il catastrofico. La morte ci circonda nei modi più brutali, soprattutto negli ultimi due anni. Ma continuiamo a resistere—con le nostre voci, le nostre immagini e la nostra volontà di vivere”.

Noura Al-Qassasiyah muove una dura accusa all’Occidente e sostiene che “l’Occidente e l’occupazione sono due facce della stessa medaglia“. E aggiunge: “Non stiamo chiedendo compassione—stiamo reclamando giustizia, la stessa giustizia che loro predicano nelle loro leggi internazionali. Gaza non è una crisi temporanea. È una prova della vostra umanità. E tristemente, viviamo in un mondo che ne è brutalmente privo“.

 

 
 
 
 
 
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