Nel diritto canonico viene definito come "il rifiuto della sottomissione al Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti"

Il delitto di scisma, di cui è accusato mons. Carlo Maria Viganò, è uno dei tre delitti ‘contra fidem’, insieme a eresia e apostasia. A occuparsi di questi delitti è la Congregazione per la Dottrina della Fede che “a norma dell’art. 52 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus, giudica, ai sensi dell’art. 2, i delitti contro la fede” e “previo mandato del Romano Pontefice” “ha il diritto di giudicare i Padri Cardinali, i Patriarchi, i Legati della Sede Apostolica, i Vescovi, nonché le altre persone fisiche”. In dettaglio, il delitto di scisma viene definito nel diritto canonico come “il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti” (can. 751 CIC). Si tratta dunque di un delitto non contro verità di fede come per l’eresia e l’apostasia, ma il negare il primato Papa o altre cause riguardanti direttamente l’unità della Chiesa cattolica. La pena prevista per questi delitti è la scomunica latae sententiae (a norma del can. 1364 CIC), fermo restando la rimozione dall’ufficio in caso di chierici (can. 194 §1 n.2). 

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