Gruppi dell'Europarlamento chiedono alla Commissione europea di non approvare il PNRR di Varsavia

Un’altra bocciatura dall’Ue per Polonia e Ungheria. La Corte di giustizia europea, con due sentenze separate, ha stabilito che le norme di Varsavia sulla magistratura e quelle di Budapest sull’assistenza ai richiedenti asilo violano il diritto dell’Unione europea. Per la Polonia si tratta dell’ennesimo colpo alla contestata riforma della giustizia voluta dal premier Mateusz Morawiecki e dal suo partito Pis. Nel dettaglio si contesta la facoltà per il ministro della giustizia, che è al contempo procuratore generale, di distaccare i giudici o porre fine al trasferimento in qualsiasi momento e senza motivazione. Queste norme, secondo la Corte di Lussemburgo, non presentano le garanzie necessarie per evitare qualsiasi rischio che esso sia impiegato quale strumento di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie, in particolare nel settore penale. Ancora una volta è messo in discussione il requisito dell’indipendenza dei giudici. A Varsavia, l’annosa questione della riforma della giustizia, con l’abolizione della Camera disciplinare, che il premier aveva promesso ma mai attuata, sembrava accantonata dietro alla crisi dei migranti al confine con la Bielorussia. Con l’ultima sentenza la Corte Ue ha riportato il tema in cima al dibattito. Intanto rimane appesa la valutazione della Commissione europea sul piano di ripresa e resilienza polacco. Con una lettera indirizzata alla Commissione europea, i presidenti dei gruppi del Ppe, S&D, Renew Europe, Verdi e La Sinistra al Parlamento europeo hanno chiesto di non approvare il Pnrr di Varsavia “finché non saranno soddisfatte tutte le condizioni previste dal regolamento sul risanamento e la resilienza”.

“Un governo che nega il primato del diritto dell’Ue e viola i principi dello Stato di diritto non può essere ritenuto affidabile nell’adempiere agli impegni e agli obblighi previsti dai nostri strumenti legali – si legge nella missiva -. I tribunali polacchi di ogni grado hanno dimostrato di non poter garantire il diritto a un processo equo da parte di un tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge, come riconosciuto anche dalla Corte di giustizia e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò significa che le istanze di controllo finale non sono legalmente autorizzate a esercitare il proprio ruolo e i propri compiti come necessari per l’approvazione di un piano nazionale e la corretta attuazione del pnrr”.

Sul fronte ungherese, la Corte di giustizia europea ha stabilito che il governo di Victor Orban, sanzionando con un reato penale l’attività organizzativa per assistere nella procedura di protezione internazionale anche persone che non soddisfano i criteri di riconoscimento di tale protezione, ha violato il diritto dell’Unione europea. Si tratta di una norma che Orban aveva varato contro le organizzazioni umanitarie dell’arcinemico il magnate George Soros. La reazione di Budapest non si è fatta attendere. “L’Ungheria riconosce la sentenza, ma ci riserviamo il diritto di intraprendere azioni contro le attività delle ong con finanziamenti stranieri, comprese quelle finanziate da George Soros, che cercano di ottenere influenza politica e interferire o addirittura promuovere l’immigrazione”, ha dichiarato il portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs. “La posizione dell’Ungheria sull’immigrazione rimane invariata: si dovrebbe portare aiuto dove si trova il problema, anziché portare il problema qui”, aggiunge il portavoce. Stesso tono dalla ministra della giustizia, Judit Varga, secondo cui la Corte chiede di “sostenere la tratta di esseri umani. Cosa succede dopo? Gli Stati membri saranno puniti semplicemente per aver protetto il continente dalla migrazione di massa? – ha scritto – Comunque, una cosa è certa: continueremo a difendere l’Europa”.

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