Il conflitto ha causato finora 200 morti. Vani gli sforzi della diplomazia
Il conflitto tra israeliani e palestinesi entra nella seconda settimana, con un bilancio di morti ormai superiore a 200 persone e la diplomazia internazionale che non riesce a fermare la violenza. L’esercito di Israele ha lanciato una nuova ondata di raid aerei sulla Striscia di Gaza, dichiarando di aver distrutto 15 chilometri di tunnel e le abitazioni di nove comandanti di Hamas, mentre dall’enclave sotto blocco sono continuate le raffiche di razzi. Sinora l’escalation non è rallentata e le parti non hanno ammorbidito i toni. Lo Stato ebraico ha ribadito di voler continuare gli attacchi contro Hamas, mentre il gruppo al potere dal 2007 nella Striscia di Gaza ha promesso di “intensificare” l’offensiva su case ed edifici residenziali: “Avvertiamo Israele che, se non si ferma subito, torneremo ad attaccare Tel Aviv”.
L’ultimo bilancio è di almeno 200 palestinesi uccisi in una settimana, tra cui 59 bambini, e 1.300 feriti, secondo il ministero della Salute di Gaza. Dieci i morti in Israele, tra cui un bambino e un soldato. Le violenze hanno riguardato anche scontri intra-comunitari fra arabi ed ebrei in Israele, dove centinaia di persone sono state ferite e decine arrestate. Gli ultimi attacchi israeliani hanno distrutto l’edificio degli Affari religiosi di Hamas e ucciso Abu Harbid, alto comandante del Jihad islamico, altra organizzazione accusata di aver lanciato migliaia di razzi. Colpito, secondo le forze di difesa dello Stato ebraico (Idf) anche il quartier generale della Sicurezza interna di Hamas. Tra i palazzi abbattuti dai raid nei giorni scorsi, anche la ‘torre dei media‘ dove aveva sede anche Associated Press. Secondo Israele, l’edificio avrebbe ospitato infrastrutture di Hamas. La direttrice di AP, Sally Buzbee, ha chiesto un’indagine indipendente sull’attacco, mentre il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ha sottolineato che Israele ha parlato di prove della presenza di Hamas, ma di non averne vista alcuna.
Nel frattempo, edifici e infrastrutture nel Territorio sotto blocco vengono distrutti e la situazione per la popolazione civile è sempre più drammatica. Manca il carburante, che non può arrivare tramite i valichi, con blackout di 8-12 ore ogni giorno, mentre l’acqua non è potabile. L’unica centrale elettrica dell’enclave è vicina alla chiusura, dopo danni legati ai raid: fornirà energia ancora per un paio di giorni. E mancano luoghi per rifugiarsi e capacità mediche, per cui servirebbero, sottolineano le ong, corridoi umanitari.
Intanto, nella giornata di martedì sono previste nuove proteste nell’enclave, nello sciopero generale contro “l’occupante” indetto dai palestinesi. Protesta che ha l’appoggio del partito Fatah del presidente Mahmoud Abbas. L’inviato statunitense Hady Amr ha incontrato una delegazione dell’Anp, il giorno dopo aver visto i leader israeliani. Abbas, secondo l’agenzia Wafa, gli ha chiesto che Washington “intervenga per fermare l’aggressione e l’escalation israeliana”, ribadendo che “porre fine all’occupazione militare dei territori palestinesi, incluso Gerusalemme est, è un prerequisito per la sicurezza e la stabilità regionale”. Ma per ora l’amministrazione Biden ha rifiutato di criticare pubblicamente Israele, o di inviare un delegato di massimo peso nella regione. Blinken, dalla Danimarca, ha riassunto: “Alla fine, spetta alle parti chiarire che vogliono cercare un cessate il fuoco”. Il premier Ismail Haniyeh, vertice di Hamas, ha fatto sapere di essere stato contattato da Onu, Russia, Egitto e Qatar, ma che “non accetterà una soluzione che non sia all’altezza dei sacrifici del popolo palestinese”.
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