Omicidi di massa, stupri e atti amministrativi con l’obiettivo di cancellare un intero gruppo etnico. E’ quello che denunciano i rifugiati etiopi della Regione del Tigray, sopravvissuti al recente conflitto tra il governo centrale di Addis Abeba e quello locale. A puntare il dito contro l’esercito etiope, il governo guidato dal premio Nobel per la Pace, Abiy Ahmed Ali, e i militari del vicino alleato eritreo, sono le persone che sono riuscite a scappare ad Hamdayet, sul confine etiope del Sudan, in un campo gestito dall’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Parlando con l’Associated Press hanno riferito di donne stuprate dai soldati perché parlavano una lingua sbagliata, di decine di corpi sparsi sulle rive di un fiume, e molti di loro portano sul corpo i segni delle violenze subite.
“Uno dei soldati ci ha detto che eravamo tutti bugiardi, che non era vero che stessimo andando ad Adi Goshu. E mi hanno detto di mettere giù il mio bambino”, racconta una vittima di stupro che vuole rimanere anonima. “Ci hanno violentate e poi ci hanno lasciati andare. Ci hanno detto che non ci era permesso parlare di questo. Stavo sanguinando dal naso e dalla bocca per le botte ricevute”, ha aggiunto. Un’altra donna che non ha voluto essere ripresa dalle telecamere ha raccontato che i militari hanno detto a suo padre di violentarla, altrimenti l’avrebbero ucciso.
“L’uomo si è rifiutato, sostenendo che le due cose si equivalevano. E così l’hanno ucciso, mentre lei è stata violentata dai soldati”, ha spiegato Elsa Tesfa Behe, un’ostetrica che lavora nel campo profughi. Quella che era iniziata come una disputa tra il governo centrale e l’amministrazione regionale del Tigrai è sfociata in una campagna che gli Stati Uniti hanno definito “pulizia etnica” contro la minoranza locale. Abiy Ahmed Ali è accusato di aver collaborato con il suo gruppo etnico, gli Amhara, e con i soldati della vicina Eritrea, per colpire un popolo di circa 6 milioni di persone occupando intere comunità costringendo alla fuga gli abitanti.
I rifugiati sostengono che migliaia, forse decine di migliaia di persone sono state uccise e migliaia sono state violentate. Il governo etiope respinge queste accuse dicendo di rifiutare qualsiasi “nozione e pratica di pulizia etnica” e che tali pratiche non saranno mai tollerate, ne chiuderà gli occhi di fronti a crimini simili. Ma sono tanti i testimoni che dicono di aver assistito a omicidi sommari, di aver visto compagni uccisi o parenti agonizzanti lasciati a terra. Secondo le denunce degli operatori sanitari, raccolte dalle Nazioni Unite, oltre 500 stupri sono stati commessi nel Tigray, ma gli stessi sostengono che molte donne non denunciano gli abusi subiti. Alcuni rifugiati, provenienti da comunità diverse, hanno anche mostrato le prove di un tentativo ufficiale di cancellare la loro etnia: le autorità di un altro gruppo etnico avrebbero fornito loro carte di identità scritte in lingue diverse dalla loro, eliminando qualsiasi traccia del Tigray.
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