Vittoria al referendum con il 51,2% dei voti

 La Svizzera mette al bando burqa e niqab nei luoghi pubblici. Vince il sì al divieto, seppur risicato, con il 51,2% contro il 48,8% dei no, nel referendum indetto per vietare qualsiasi tipo di copertura del volto. Compresi dunque i veli integrali, ma anche passamontagna e foulard usati dai manifestanti nelle proteste. Con il viso coperto non sarà quindi possibile camminare per strada né andare in ristoranti, stadi o sui mezzi pubblici. Ci saranno però delle eccezioni: per esempio si potrà nei luoghi religiosi, per i tradizionali festeggiamenti di Carnevale o per motivi di sicurezza o salute, come nel caso delle mascherine usate contro il Covid-19. Le autorità hanno ora due anni per elaborare una legislazione dettagliata.

Per quanto riguarda i cantoni, una maggioranza contraria è stata registrata in sei su 26, tra cui quelli che ospitano Zurigo, Ginevra e Basilea, e la capitale, Berna. Contrari anche gli elettori di diverse famose destinazioni turistiche, tra cui Interlaken, Lucerna e Zermatt. La misura è stata osteggiata dal governo, che teme proprio una ricaduta sul turismo. Secondo l’esecutivo, infatti, le persone che si coprono il viso nel Paese costituiscono una quantità “marginale”: le donne musulmane che indossano burqa o niqab sono perlopiù viaggiatrici provenienti da Stati benestanti del Golfo Persico, che affollano i negozi svizzeri del lusso attirate soprattutto dalle località sui laghi.

Il divieto – comunemente conosciuto come ‘no al burqa’ anche se il burqa nel referendum non viene menzionato esplicitamente – è stato caldeggiato dal nazionalista Partito popolare svizzero Svp, che ha portato avanti una campagna caratterizzata dagli slogan ‘Stop all’estremismo’ e ‘Stop all’islam radicale’. E se non fosse ancora stato chiaro, sui manifesti pro divieto comparsi per le città campeggiava il volto di una donna coperta da un niqab nero, dal quale appena si intravedevano gli occhi e le sopracciglia aggrottate.

Dietro alla proposta c’è il comitato di Egerkingen, presieduto dal deputato dell’Svp, Walter Wobmann, tornato alla carica dopo il ‘no’ alla costruzione di minareti approvato con una consultazione popolare nel 2009. Coprire il volto è “un simbolo di questo islam politico estremo che è diventato sempre più importante in Europa e che non ha posto in Svizzera”, ha detto Wobmann prima del voto, sottolineando che nel Paese “la consuetudine è di mostrare il proprio viso” e “questo è un segno delle nostre libertà fondamentali”.

Per il Consiglio centrale dei musulmani, la decisione “apre vecchie ferite, amplia ulteriormente il principio di disuguaglianza giuridica e invia un chiaro segnale di esclusione alla minoranza musulmana”. Secondo una ricerca dell’Università di Lucerna, quasi nessuno in Svizzera, che conta circa 8,5 milioni di abitanti, indossa il burqa e solo una trentina di donne indossa il niqab. Circa il 5% della popolazione è musulmana, la maggior parte originaria della Turchia, della Bosnia e del Kosovo.

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