L'inviato del Corriere della Sera: Tra i repubblicani per Trump sarà una battaglia lunga, può spuntare Rubio. E niente certezze sino a primavera

di Agnese Gazzera

Torino, 6 feb. (LaPresse) – Dopo l'apertura delle primarie in Iowa, martedì 9 febbraio toccherà al New Hampshire ospitare la sfida tra i candidati dei partiti democratico e repubblicano per la nomination alle presidenziali americane di novembre. Le sorprese già non sono mancate, nel piccolo Stato che ha aperto la corsa alla scelta dei politici che si sfideranno per succedere a Barack Obama. Per i democratici, Hillary Clinton è andata assai peggio del previsto, chiudendo con uno strettissimo testa a testa con Bernie Sanders, mentre il terzo candidato Martin O'Malley ha rinunciato alla corsa. Tra i più numerosi repubblicani ha vinto Ted Cruz, mentre Donald Trump è arrivato secondo seguito a un solo punto dal giovane Marco Rubio. "Ma è presto per dire come andrà", dice in un'intervista a LaPresse l'inviato del Corriere della Sera a New York, Massimo Gaggi.

Si possono già fare previsioni, in questa corsa alla nomination?
"E' presto per dire come andrà. Se Trump avesse vinto in Iowa, probabilmente le primarie repubblicane avrebbero preso una piega diversa. Ma con quel che è successo, e con quel che succederà negli Stati del sud, la battaglia sarà lunga e probabilmente non si avrà un candidato che abbia abbastanza delegati per avere la nomination fino a maggio o giugno. E' una partita complessa, anche a causa del cambiamento strutturale dell'elettorato: anni di difficoltà economiche hanno avvantaggiato i populisti che promettono cose improbabili da realizzare, a danno dei candidati che promettono continuità e sono più credibili, Clinton tra i democratici e i candidati dell'establishment repubblicana come Jeb Bush e Chris Christie".

I risultati dell'Iowa sono stati davvero una sorpresa?
"La vera sorpresa è stata che i sondaggi non hanno funzionato. Forse i campioni sono stati poco rappresentativi e le opinioni sono cambiate all'ultimo momento, e si deve tenere conto che alle primarie partecipa un numero limitato di persone, che sono poi le più motivate. Questo, inoltre, rende difficile capire come andranno le cose a livello federale".

Quali nomi possono emergere, tra i candidati repubblicani?
"L'unico che potrà emergere tra i repubblicani sarà Marco Rubio, in alternativa ai due candidati dell’antipolitica e del radicalismo che hanno fin qui dominato, Trump e Cruz. Se andrà bene anche in New Hampshire, e se Bush e Christie spariranno dalla corsa, potrà diventare il candidato della parte più istituzionale del Gop. E' giovane ed è il migliore nei confronti con Clinton. Ma è presto per dirlo: questi primi Stati assegnano pochissimi delegati rispetti ad altri come California e Texas che ne hanno centinaia, in più dopo il 15 marzo molti Stati cambiano meccanismo elettorale, usando l'assegnazione 'chi vince prende tutto' per un alto numero di delegati. Senza contare l'eventualità che scendano in campo 'terzi incomodi', come Bloomberg o altri".

E Sanders, che ha fatto crollare le aspettative di Clinton in Iowa e lo farà ancor di più in New Hampshire?
"E' vero che il risultato di Sanders ha sorpreso, che in New Hampshire vincerà e forse lo farà anche in altri Stati dell'Est, ma si scontrerà poi con la forza della macchina elettorale di Clinton, che sarà evidente in seguito, in Stati che danno più delegati".

L'ex segretaria di Stato Clinton è in difficoltà più del previsto?
"Va peggio di quanto potesse immaginare. Che sia in difficoltà è stato reso evidente dal dibattito di venerdì con Sanders, in cui è stata molto aggressiva. Secondo le previsioni perderà in modo abbastanza consistente in New Hampshire, ma quando si passerà agli Stati del Sud, dove ha il controllo quasi totale della macchina del partito, sarà forte dell'elettorato democratico e in gran parte nero. Dubito che i neri votino per Sanders, che ha un elettorato giovane e bianco".

La vittoria di Ted Cruz quindi non sorprende?
"Ha fatto titolo, ma poteva essere prevedibile: è un conservatore religioso e aveva investito molto sull'Iowa, i cui abitanti sono molto credenti. Già in New Hampshire, molto meno religioso, per lui sarà più difficile vincere. Potrà poi recuperare negli Stati del sud che votano nel supermartedì del primo marzo, ma ritengo resti un candidato alternativo rispetto alla macchina del Gop: ha posizioni molto radicali che preoccupano l'establishment, per certi versi ancor più di quelle di Trump".

Ma Trump può davvero farcela?
"Certo. Se avesse vinto in Iowa sarebbe stato difficile fermarlo, ora è più incerto. Trump ha due problemi. Uno è legato al meccanismo elettorale: anche vincendo moltissime primarie può non arrivare al quorum necessario ad avere la certezza della nomination alla convention, quindi potrebbe rischiare la cosiddetta 'brokered convention' (i delegati che hanno il vincolo di fedeltà solo alla prima votazione, ma dalla successiva possono votare altri candidati). In questo caso il rischio è che Trump si presenti come indipendente e spacchi il voto conservatore alle urne. Un altro problema è che dall'Europa vediamo l'aspetto buffonesco di Trump, mentre negli Usa è visto come un candidato che presenta idee populiste distanti dall'ortodossia del pensiero liberale e liberista repubblicano: è contro gli immigrati, vuole proteggere la manodopera americana, si scaglia contro la finanza di Wall Street…".

Quindi, la sua campagna elettorale strillata e piena di insulti funziona?
"Trump usa espressioni iperboliche e insultanti come tecnica mediatica, per avere sempre l'attenzione e spendere poco in pubblicità. Ora funziona perché alle primarie deve raccogliere i voti di quel ristretto elettorato che è più ideologico, più convinto, più arrabbiato. Se otterrà la nomination dovrà invece confrontarsi con il Paese intero e probabilmente cambierà. Come fece Mitt Romney quattro anni fa: in campagna elettorale fu costretto a fare l'estremista di destra, ma quando si trovò di fronte a Obama ricominciò a fare il moderato".

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