di Fabio De Ponte
Roma, 28 mag. (LaPresse) – Quelli ipotizzati da Bruxelles per la ricollocazione dei richiedenti asilo in Europa ‘sono numeri ridicoli rispetto al peso che il Mediterraneo sopporta’. Il presidente della Croce rossa italiana, Francesco Rocca non ha dubbi: ‘E’ inaccettabile – spiega – che l’Ue rispetto a chi scappa da conflitti e violenze non si faccia carico delle sue responsabilità’. E per farlo, sottolinea, accanto alla guerra agli scafisti, che comunque non può essere ‘un alibi per lasciar morire le persone dall’altra parte del mare’, occorre ‘creare canali sicuri’ di ingresso in Europa. Ed evitare il rischio, dice, che aprire campi in Niger per intercettare le persone prima che arrivino in Libia, possa risolversi soltanto in una operazione militare dal carattere ben poco umanitario. ‘Si dice – sintetizza – ‘facciamo i campi di accoglienza nei paesi di transito’.
Bene. Come? Come ci organizziamo? Con quali protocolli? Siamo ancora troppo generici’. In ogni caso, puntualizza, ‘noi non siamo disponibili a gestirli. Questo è un compito delle Nazioni unite.
Esiste l’Alto commissariato per i rifugiati. Noi non siamo disponibili a fare questo tipo di lavoro di selezione della persona che ha diritto o meno’.
Ieri Ban Ki-moon ha detto che occorre introdurre canali di immigrazione legale, perché diversamente il problema dei barconi non si potrà risolvere. E’ d’accordo?
Il segretario generale ha detto, e ci siamo detti anche nell’incontro che ho avuto due settimane fa con lui, che qualsiasi azione di contrasto ai trafficanti non accompagnata da una azione che metta al centro l’essere umano è inaccettabile. Se noi siamo firmatari di convenzioni internazionali che offrono diritto di asilo a chi scappa da guerre e conflitti è nostra responsabilità fare in modo che da un lato venga eliminato il traffico di esseri umani su persone che hanno diritto alla protezione e dall’altro creare canali sicuri.
Siamo in ritardo? Andava fatto prima?
Questa è una cosa che noi, come Croce rossa, diciamo non da ora, e non solo adesso dopo che sono morte tante persone. Le nostre dichiarazioni negli anni sono andate sempre in questa direzione. Li chiami canali umanitari, li chiami come vuole.
Cosa pensa dell’Agenda della Commissione Ue?
Noi dobbiamo trovare una valvola che non sia così mortificante per l’Unione europea come quella di quei numeri che sono stati dati, che sono veramente imbarazzanti. Parliamo per l’Italia di 24mila persone, sono numeri ridicoli rispetto al peso che il Mediterraneo sopporta, noi e altri Paesi anche in più in difficoltà di noi come il Libano, la Giordania, la Turchia. E’ inaccettabile che l’Ue rispetto a chi scappa da conflitti e violenze non si faccia carico delle sue responsabilità’
Boldrini dice che gli scafisti nella maggior parte dei casi sono persone che di fatto organizzano il viaggio solo per potersi imbarcare gratis. Una immagine piuttosto diversa da quella delle grandi organizzazioni mafiose che domina le dichiarazioni di Mogherini e del Governo. Qual è la verità?
Premesso che io non mi sento portatore della verità, quello che sappiamo per certo è che si tratta comunque di un traffico commerciale. Ci sono punti di raccolta che sono noti e costanti nel tempo. Se la cosa fosse così estemporanea, non ci sarebbero questi punti di raccolta. Basta guardare al traffico dei minori che arriva dall’Egitto. Parte da determinate città con una costante continua nel tempo. Ci sarà anche qualcuno che si organizza per pagarsi il viaggio da solo, ma che vi siano organizzazioni criminali è un dato di fatto.
Detto questo, non è un alibi per lasciar morire le persone dall’altra parte del mare. Dobbiamo saper coniugare la parola legalità con la parola responsabilità.
Di fronte alle dichiarazioni di Mogherini che dice di voler intercettare le persone in Niger, prima ancora che arrivino in Libia, quindi ben prima che si imbarchino, le organizzazioni umanitarie obiettano che questo non è un modo di risolvere il problema ma solo di lasciar morire la gente più lontano. Lei cosa ne pensa?
E’ un punto che ho espresso anche io. Dipende. Si dice ‘facciamo i campi di accoglienza nei paesi di transito’. Bene. Come? Come ci organizziamo? Con quali protocolli? Siamo ancora troppo generici. Su questo occorre capire meglio. Certo, è un problema se parliamo di bloccare le persone in assenza di quello che ha detto il segretario generale, cioè della creazione di canali sicuri di ingresso legale in Europa. Li blocchiamo prima perché non entrino in Libia. Bene. E dunque?.
Come Croce rossa siete stati coinvolti in questo tipo di ipotesi?
Questo non è un compito di Croce rossa nella misura in cui diventa un compito militare. Il nostro è un compito umanitario. Al momento non c’è alcun coinvolgimento.
Nel caso sarebbe la Croce rossa per l’Italia a occuparsene?
Noi non siamo disponibili a gestirli. Questo è un compito delle Nazioni unite, esiste l’Alto commissariato per i rifugiati. Noi non siamo disponibili a fare questo tipo di lavoro di selezione della persona che ha diritto o meno. Possiamo cercare di offrire il massimo dell’assistenza a chiunque però non è nostro compito istituzionale gestire dei campi per la selezione delle persone.
Quindi cosa farete?
Noi abbiamo in piedi un dialogo in Libia per offrire, appena si stabilirà un minimo di condizioni di sicurezza, assistenza umanitaria e informazioni ai migranti. Questo è un piano che doveva partire circa un anno fa. Noi avevamo attivato questo dialogo come federazione internazionale e all’interno anche della Croce rossa italana. Il deteriorarsi di condizioni di sicurezza lo ha fermato, perché nessuno può mandare personale al momento. Con la Mezzaluna libica stiamo vedendo se si può avviare questo servizio ma senza mettere a rischio la vita dei nostri operatori, attraverso personale e volontari locali. Se si ristabiliranno condizioni di sicurezza adeguate, ripartiremo.
Ma perché se il Libano, che ha quattro milioni e mezzo di abitanti riesce ad accogliere un milione di persone facendo fronte anche economicamente alla situazione, e da noi costa così tanto? L’Ue stanzierebbe 250 milioni di euro, il Viminale dice che ce ne vorrebbero almeno 800. Perché il Libano invece ce la fa?
Credo che il problema sia legato molto agli standard di servizi.
Il livello delle spese va proporzionato rispetto agli aiuti e alle condizioni. Le condizioni dei campi in Giordania o in Libano sono molto difficili e da noi sarebbero subito dichiarate inaccettabili. E’ ovvio che quei governi hanno difficoltà, ancorché aiutati dalla comunità internazionale.
Ma da noi si potrebbe risparmiare?
Dovremmo entrare nei singoli costi. Sicuramente tutto è migliorabile. A volte ci sono polemiche, sui quattro, cinque o tre stelle, anche risibili perché il costo non varia per il sistema Paese quando le persone sono ospitate in un ostello rispetto a un quattro stelle, dipende solo quella della struttura libera e disponibile in quel momento e fa riferimento agli accordi complessivi che vengono fatti.
Ma non si potrebbe prendere in considerazione l’abbassamento degli standard per salvare più persone, piuttosto che salvarne meno con standard più alti?
Ma che dovremmo fare? Dare cibo scadente piuttosto che non dare dei servizi di base come l’informazione legale o il sostegno psicologico, la mediazione culturale, l’alfabetizzazione che si fanno nei nostri centri di accoglienza? Poi tutto è perfettibile. Mi viene anche da sorridere perché i ‘no’ stanno arrivando anche da alcuni Paesi che nel passato non hanno esitato a bacchettare l’Italia per le condizioni dei nostri centri, che comunque non sono comparabili sotto il profilo qualitativo alle condizioni medie dei centri di altri Paesi mediterranei. Alla persona deve essere garantita la dignità. Magari trenta euro di spesa possono diventare 35 o 25, ma dobbiamo stabilire degli standard dignitosi. La dignità delle persone deve essere al centro. Definiti gli standard su quelli si possono settare i costi. Non possiamo fare il ragionamento al contrario.
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