Nuova Delhi (India), 8 dic. (LaPresse/AP) – In India il tassista del servizio Uber sospettato di aver violentato una donna a Nuova Delhi è stato scortato questa mattina dalla polizia in un tribunale della capitale per la formulazione delle accuse. Si prevede che Shiv Kumar Yadav, che aveva le manette e un cappuccio nero sulla testa, verrà formalmente accusato di aver stuprato un’impiegata di un’azienda finanziaria venerdì notte, quando è stato chiamato per riportarla a casa dopo una cena, secondo quanto riporta la polizia. Il sospetto, 32 anni, è stato arrestato ieri nella sua città di residenza di Mathura, a circa 160 chilometri a sud della capitale indiana.

Uber ha sospeso l’account dell’autista e sta collaborando con le autorità, secondo quando ha riferito l’azienda in un comunicato. “Lo abbiamo portato a Delhi”, ha detto il commissario di Polizia Bhim Sain Bassi. Le forze dell’ordine hanno detto a Press Trust of India che stanno verificando le affermazioni di Yadav, che ha detto di essere stato assolto da accuse di stupro nel 2011, dopo aver trascorso sette mesi in carcere. Pti non ha fornito altri dettagli né ha riferito i nomi della fonte di polizia. L’episodio, che si è verificato quasi due anni dopo il noto caso della giovane donna morta a seguito di uno stupro di gruppo su un bus, ha rinnovato lo sdegno nazionale per il problema cronico della violenza sessuale in India, e le richieste di più sforzi per garantire la sicurezza delle donne.

Secondo l’agenzia di stampa Pti nell’ultimo caso la 26enne che ha riportato la violenza, avvenuta venerdì, si era addormentata durante il ritorno a casa. Quando si è svegliata, ha trovato la macchina parcheggiata in un luogo appartato. L’autista l’ha minacciata e violentata. “Il veicolo usato nel reato è stato trovato e portato a Delhi, dove verrà sottoposto a un esame forense completo”, ha reso noto il ministro dell’Interno Rajnath Singh.

Secondo le statistiche ufficiali ogni anno vengono commessi circa 25mila stupri in India, Paese con una popolazione di 1,2 miliardi di persone. Gli attivisti, tuttavia, sostengono che la cifra è solo una piccola percentuale delle reali quantità, perché spesso le vittime subiscono le pressioni della famiglia e della polizia per non denunciare le aggressioni sessuali.

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