Roma, 2 mar. (LaPresse) – Il territorio della Crimea, che oggi potrebbe essere il teatro di una nuova guerra, porta sulle spalle il peso di una storia di dominazione, determinata dal grande peso geopolitico che quella piccola penisola bagnata dal Mar Nero ha avuto nella storia dell’Europa. Geograficamente la Crimea si trova a sud dell’Ucraina, alla quale è collegata dall’istmo di Perekop. Ad est si affaccia sul Mare D’Azov e di fronte il territorio del sud della Russia, che confina con la Georgia e l’Azerbaijan.
A Sebastoboli, la città più popolosa della Crimea, ha sede la Flotta del Mar Nero, in cui si trovano circa 26mila militari russi, prinicpalmente marinai. Qui, inoltre, sono presenti sottomarini, navi, lanciamissili e mezzi aerei, tutti con la bandiera russa. Dopo la dissoluzione dell’Urss, nel 1992 gran parte del personale e dei mezzi militari passò sotto il controllo dell’Ucraina, generando nuove tensioni tra i due Stati, ma soltanto nel 1997 i due Paesi firmarono un trattato in base al quale la Flotta del Mar Nero fu divisa in due parti, una sotto il controllo di Mosca, l’altra sotto quello di Kiev. Inoltre, secondo l’accordo, la Russia avrebbe dovuto lasciare definitivamente la base di Sebastopoli entro il 2017. Nel 2010, invece, con il governo di Victor Yanukovich la data fu rivista e portata al 2042.
Dominata dai greci, dai romani e poi ancora dai Goti, dai Bizantini e dai Mongoli, fino alla seconda metà del 1700 la Crimea è un khanato tartaro, ma nel 1784, viene conquistata da Caterina la Grande ed entra definitivamente a far parte dell’impero russo. E’ in questo momento che la regione diventa il fulcro della flotta militare russa. Con la Guerra di Crimea, però, tutta l’area – e in particolare la città di Sebastopoli – esce indebolita. Tra le clausole imposte dai vincitori alla Russia con il Trattato di Parigi c’è anche la smilitarizzazione del Mar Nero, vincolo che viene poi revocata prima della fine del secolo. Al tavolo francese si siede anche una delegazione italiana, come ‘premio’ per aver partecipato alla guerra, a fianco di Francia Gran Bretagna e Turchia, con 15mila uomini.
Durante la Rivoluzione d’Ottobre è qui che l’Armata Bianca anti-bolscevica trova la sua roccaforte.
Nel 1921 nasce la Repubblica autonoma socialista sovietica di Crimea, una delle Repubbliche dell’Unione sovietica. Nel 1942 i tedeschi conquistano anche Sebastopoli, liberata due anni dopo dalle truppe sovietiche. La Repubblica autonoma socialista sovietica di Crimea viene abolita nel 1945 e trasformata nella provincia di Crimea della Rssf Russa. Nel 1954, viene trasferita dal leader sovietico Nikita Khrushchev alla Rss Ucraina come gesto per commemorare il 300esimo anniversario dei Trattato di Pereyaslav tra i cosacchi ucraini e la Russia. Un’azione, questa, criticata allora e che ancora oggi viene vista da più parti come un ‘regalo’ senza alcun fondamento giuridico. Nel 1992 la Crimea proclama l’autogoverno, ma con un accordo con l’Ucraina, accetta di rimanere parte del Paese come Repubblica autonoma.
Oggi la penisola conta circa due milioni e mezzo di abitanti, più della metà dei quali filo-russi. Un rapporto, quello tra Crimea e Russia, molto stretto, a prescindere dai rapporti dei rispettivi governi. Ed è in questo contesto che il presidente russo Vladimir Putin ha schierato almeno 15mila suoi soldati, nella zona di Sebastopoli e nella capitale della regione, Sinferopoli. La Russia “segue attentamente ciò che accade in Crimea e tutto quello che succede intorno alla flotta del Mar Nero”, come ha detto il ministro russo della Difesa Sergeij Shoigu, annunciando che Mosca prende “le misure per garantire la sicurezza delle nostre installazioni, delle nostre infrastrutture e del nostro arsenale della flotta del Mar Nero”.
Da quando Kiev avanzò la pretesa e ottenne che il ‘regalo’ di Khrushchev fosse riconosciuta, la Russia si trovò così privata del suo più importante centro strategico del quadrante meridionale. Da allora Mosca non ha mai nascosto la sua intenzione di reimpossessarsi della Crimea, una intenzione che oggi sembra concretizzarsi nella minaccia di un intervento.
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