Base Lewis-McChord (Washington, Usa), 5 giu. (LaPresse/AP) – Il sergente statunitense Robert Bales, accusato del massacro di 16 civili avvenuto nel marzo dello scorso anno nel sud dell’Afghanistan, si è dichiarato colpevole di omicidio. Una decisione grazie a cui l’imputato eviterà la pena di morte. Nella strage morirono per lo più donne e bambini, e alcuni corpi furono trovati bruciati. La vicenda sollevò le critiche del governo afghano e internazionali, e costrinse gli Usa a interrompere temporaneamente le operazioni di combattimento in Afghanistan. Ci vollero tre settimane affinché gli investigatori riuscissero a raggiungere il luogo dell’omicidio. Intervistati da Associated Press, i parenti delle vittime si dicono arrabbiati per la notizia che Bales sfuggirà alla pena capitale.

BALES IN AULA. Oggi il soldato è comparso in aula, presso la base Lewis-McChord, a sud di Seattle. Il giudice, il colonnello Jeffery Nance, ha spiegato al militare i suoi diritti chiedendogli poi se li avesse compresi. Bales, 39 anni, padre di due figli, ha risposto: “Sì signore”. Quindi, l’avvocato difensore Emma Scanlan ha presentato la dichiarazioni del suo cliente. Di colpevolezza per la strage, di non colpevolezza invece per l’accusa di aver ostacolato le indagini distruggendo il suo computer portatile, dopo essere stato preso in custodia. In serata il giudice ha accettato le dichiarazioni e ad agosto toccherrà a una giuria decidere se decretare un ergastolo con o senza libertà condizionale.

NESSUN MOTIVO PER STRAGE SIMILE. Durante l’udienza, Bales ha parlato della strage, descrivendo quella terribile notte. Leggendo una dichiarazione, con voce chiara e ferma, ha confermato di aver sparato a ciascuna delle vittime, tra cui molte donne e bambini. Ha spiegato di aver lasciato la base dove era di stanza, vicino a Kandahar, e di aver raggiunto i villaggi vicini. Una volta arrivato avrebbe, secondo le sue parole, “formulato l’intenzione”, di uccidere le persone. Ma senza un motivo. “Questa azione – ha proseguito – è priva di una giustificazione legale”. E alla domanda del giudice sul perché abbia compiuto il massacro, Bales ha risposto: “Signore, mi sono fatto questa domanda un milione di volte da allora. Non c’è una buona ragione al mondo per fare la cosa orribile che ho fatto”.

LE TESTIMONIANZE AFGHANE. I sopravvissuti al massacro hanno già testimoniato in videoconferenza dall’Afghanistan in un’udienza lo scorso autunno, e durante la quale erano emersi dettagli raccapriccianti. Una ragazzina raccontò di essersi nascosta dietro il padre che venne ucciso. Alcuni giovani dissero di aver trovato rifugio dietro a delle tende, pregando il soldato di risparmiarli. Un uomo ha testimoniato di essere stato colpito da un’arma da fuoco al collo da un uomo “vicino come questa bottiglia”, indicando una bottiglia sul tavolo di fronte a lui.

LA TESI DELL’ACCUSA. Secondo la ricostruzione dei procuratori, prima dell’alba dell’11 marzo 2012, Bales uscì da Camp Belambay, a Kandahar, dove era di stanza, armato con un pistola 9 mm e un fucile M-4 competo di un lancia granate. Attaccò un villaggio fatto di case di fango, Alkozai, quindi tornò alla base, svegliò alcuni colleghi parlandogli del fatto. Gli altri militari non gli credettero e tornarono a dormire. Quindi Bales lasciò nuovamente la base, per dirigersi verso il secondo villaggio, Najiban, dove completò la strage.

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