Johannesburg (Sudafrica), 17 ago. (LaPresse/AP) – Sono 34 i minatori in sciopero uccisi dalla polizia ieri durante la protesta a Marikana, a circa 70 chilometri a nordovest di Johannesburg. Lo riferisce il capo della polizia Mangwashi Victoria Phiyega, secondo cui i feriti sono 78. Parlando in conferenza stampa, la Phiyega ha sostenuto che gli agenti abbiano agito per difendere le proprie vite dopo che i lavoratori in sciopero dotati di “pericolose armi” li hanno attaccati.

INDAGINE IN CORSO. Questa mattina gli investigatori della polizia hanno setacciato la zona in cerca di indizi e prove, osservati da un centinaio di persone. Una donna con un bambino sulle spalle girava per l’area in cerca del marito minatore, che ieri notte non è tornato a casa, mentre molte altre persone si sono recate negli ospedali locali nella speranza di trovare tra i feriti i propri cari. I partiti politici e i sindacati hanno chiesto un’inchiesta indipendente sull’episodio.

LE PROTESTE DI AGOSTO. I minatori in sciopero, dipendenti della miniera gestita dalla compagnia Lonmin, protestavano nell’ambito di una disputa sui salari, iniziata il 10 agosto scorso. Prima di ieri, da allora, dieci persone, tra cui due agenti di polizia, avevano già perso la vita negli scontri tra minatori e forze dell’ordine. Ieri la polizia ha aperto il fuoco dopo che alcuni minatori, armati di bastoni e machete, si sono rifiutati di andare via e fermare la protesta, e hanno al contrario iniziato ad avanzare verso lo schieramento della polizia. Gli agenti hanno usato un idrante, gas lacrimogeni e granate stordenti, dopodiché hanno aperto il fuoco con armi automatiche e pistole, e molti minatori sono caduti a terra.

LA POLIZIA SI DIFENDE. Le forze di sicurezza però difendono il loro operato. Gli agenti, si legge in un comunicato, “sono stati ferocemente attaccati, con vari tipi di armi, tra cui armi da fuoco. I poliziotti, per proteggere le proprie vite e come auto-difesa, sono stati costretti ad affrontare il gruppo con la forza”. Una posizione contestata dai sindacati. “Crediamo in linea di massima che si sia trattato di un’orchestrazione, una violenza pianificata, perché le violenze a cui la popolazione sta assistendo oggi stanno andando avanti da gennaio”, ha commentato Zwelinzima Vavi, segretario generale del Congresso dei sindacati sudafricani.

LA PEGGIORE SPARATORIA DA FINE APARTHEID. La sparatoria di ieri è una delle più gravi in Sudafrica dalla fine dell’apartheid negli anni ’90. Quella mineraria è una delle principali attività economiche del Paese, tra i principali produttori mondiali di platino, oro e cromo. Lonmin è il terzo produttore mondiale del mondo e dalla miniera di Marikana proviene il 96% del platino che la compagnia produce. Questa mattina le azioni della compagnia alla Borsa di Londra hanno registrato un forte calo, dall’8%, poi in parte recuperato. Tra lunedì e martedì le azioni avevano già perso quasi il 12%. Intanto, il presidente della Lonmin, Roger Phillimore, si è detto dispiaciuto per le morti, ma ha sottolineato che l’azienda considera la vicenda una questione “chiaramente di ordine pubblico piuttosto che una materia legata alle relazioni di lavoro”.

RICCHEZZA MINIERE UCCIDE I PIU’ POVERI. Drammatica invece l’analisi del quotidiano The Sowetan che questa mattina in un editoriale scriveva: “I minatori ci hanno riportato alla realtà di una bomba a orologeria che ha smesso di ticchettare. Ed è esplosa. Gli africani lottano uno contro l’altro, combattendo per una fetta più grande della ricchezza mineraria del Paese. Alla fine la guerra si porta via, ancora un volta, gli africani più poveri”.

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