Beirut (Libano), 14 mar. (LaPresse/AP) – Torture sistematiche sono una pratica di routine delle forze di sicurezza siriane nei confronti delle persone arrestate nel corso della rivolta contro il regime del presidente Bashar Assad. È quanto denuncia Amnesty International in un rapporto diffuso oggi e intitolato ‘Volevo morire: parlano i sopravvissuti alla tortura in Siria’. Il rapporto, fa sapere Amnesty in una nota, “documenta 31 metodi di tortura e maltrattamenti praticati dalle forze di sicurezza, dai militari e dalle shabiha (le bande armate filo-governative) attraverso i racconti di testimoni e vittime che l’organizzazione per i diritti umani ha incontrato in Giordania nel febbraio di quest’anno”. Nel comunicato si legge che “molte vittime hanno dichiarato di essere state picchiate al momento dell’arresto. Il pestaggio è proseguito con l’haflet al-istiqbal (‘festa di benvenuto’), all’arrivo nel centro di detenzione, con pugni e percosse con bastoni, calci dei fucili, fruste e cavi di corda intrecciata”.

“I nuovi arrivati vengono solitamente lasciati in mutande e talvolta tenuti all’aperto anche per 24 ore”, prosegue il rapporto. “Il momento di maggior pericolo – spiegano gli autori del documento – è tuttavia quello dell’interrogatorio. Parecchi sopravvissuti alla tortura hanno descritto ad Amnesty International la tecnica del dulab (‘pneumatico’): il detenuto è infilato dentro a uno pneumatico da camion, spesso sospeso da terra, e viene picchiato, anche con cavi e bastoni”. Il gruppo con sede a Londra ha denunciato inoltre uso di scariche elettriche e violenze sessuali nei confronti dei detenuti. Amnesty ha documentato 276 casi di morte in carcere dall’inizio della rivolta un anno fa, ma secondo il gruppo il numero reale potrebbe essere molto più alto.

Amnesty ha inoltre accusato gruppi dell’opposizione armati di rapimenti e uccisioni di persone sospettate di legami con il regime di Damasco. “L’organizzazione – si legge nel comunicato – ha ripetutamente chiesto che la situazione della Siria venisse deferita al procuratore della Corte penale internazionale, ma fattori politici hanno finora impedito che ciò accadesse”. Per Amnesty International “le testimonianze dei sopravvissuti alla tortura costituiscono un’ulteriore prova dei crimini contro l’umanità commessi in Siria”. Il gruppo ha inoltre chiesto che “la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sia rafforzata e possa proseguire il suo lavoro”.

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