Tel Aviv (Israele), 17 feb. (LaPresse/AP) – Sempre più immigrati africani in fuga verso Israele vengono torturati dai trafficanti nella penisola del Sinai. Gruppi per i diritti umani riferiscono che centinaia di persone vengono imprigionate e torturate da membri di tribù beduine, che chiedono cifre esorbitanti per guidare loro fino al confine dello Stato ebraico. La situazione, riferiscono attivisti, sta peggiorando perché i trafficanti usano metodi di tortura sempre più brutali e chiedono ai familiari dei migranti fino a 40mila dollari. Mutasim Qamrawi, un sudanese di 22 anni che è riuscito a raggiungere Israele, racconta che i beduini avevano chiuso lui e altri 60 uomini incatenati in una baracca. Ogni giorno una decina di guardie entrava nella stanza e iniziavano le torture. Gli immigrati venivano fatti sdraiare per terra, nudi, mentre le guardie versavano loro sulle schiene plastica fusa bollente oppure gli picchiavano con cavi e bastoni. Qamrawi dice di aver visto 16 uomini morire a causa delle torture perché non erano riusciti a raccogliere la somma sufficiente. “È come stare seduti nella propria tomba, finché non ottieni i soldi”, racconta il giovane.
Altri africani hanno raccontato di essere stati stuprati, folgorati con la corrente elettrica, lasciati sotto il sole del deserto, privati del cibo e dell’acqua. In alcuni casi i trafficanti minacciano di rimuovere gli organi ai migranti. Attivisti israeliani sottolineano che, anche se le torture avvengono nel territorio dell’Egitto, le autorità di Tel Aviv potrebbero fare di più. “Ogni minuto che passiamo ad aspettare, altre persone vengono torturate”, ha detto Shahar Shoham dell’associazione Physicians for Human Rights (medici per i diritti umani), che fornisce cure a molti migranti arrivati in Israele. Secondo i dati del ministero dell’Interno dello Stato ebraico, sono tra 1.500 e 2mila gli africani che ogni mese entrano nel Paese. La maggior parte di loro arriva dal Sudan e dall’Eritrea.
Gli immigrati raccontano che il loro viaggio inizia in un piccolo villaggio nel nord del Sudan, da dove i trafficanti vengono contattati per la prima volta. La maggior parte dei beduini mantiene la parola e porta gli africani fino in Israele, ma altri sfruttano la situazione di precarietà degli immigrati per guadagnare di più. I migranti tenuti prigionieri contattano familiari o amici in Israele o in Europea, che aiutano loro a raccogliere la somma necessaria. Proprio per questo i trafficanti permettono agli africani di fare telefonate, rendendo possibili anche contatti con giornalisti. Associated Press ha parlato con una ragazza eritrea di vent’anni, che ha chiesto di rimanere anonima, tenuta prigioniera da diversi mesi. “Ho paura di questi uomini – ha riferito la ragazza – perché ci fanno cose cattive, ci stuprano”. La donna ha detto che i trafficanti hanno chiesto 23mila dollari per il suo rilascio. Il suo numero è stato fornito ad AP da Meron Estafanos, un attivista eritreo che vive in Svezia.
Israele non espatria gli immigrati, ma non garantisce loro neanche uno status ufficiale. Dopo un breve periodo di verifiche iniziali gli immigrati vengono liberati, ma non possono lavorare. Molti israeliani credono che il loro Paese, emerso dall’esperienza dell’Olocausto, dovrebbe aiutare i bisognosi. Altri tuttavia temono che l’arrivo degli immigrati sia una minaccia per il benessere e il carattere ebraico del Paese. Di conseguenza le autorità di Tel Aviv hanno deciso di costruire un centro di detenzione per 11mila persone e una recinzione di 230 chilometri lungo il confine con l’Egitto, per bloccare i migranti. Ironia della sorte, a costruire il muro sono proprio immigrati africani.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata