I dati dell'Istituto di Statistica relativi al 2024 pubblicati nel rapporto annuale.
Nel 2024, oltre un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale: il 23,1 per cento della popolazione, sostanzialmente stabile rispetto al 2023, ricade in almeno una delle tre condizioni che definiscono il rischio di povertà o esclusione sociale: rischio di povertà (18,9 per cento), grave deprivazione materiale e sociale (4,6 per cento), bassa intensità di lavoro (9,2 per cento). È quanto si legge nel rapporto annuale 2025 presentato oggi dall’Istat. Nel 2023, nell’UE27 oltre 94 milioni di persone (21,3 per cento del totale) sono a rischio di povertà o esclusione sociale. In Italia, nello stesso anno, si trova in questa condizione il 22,8 per cento della popolazione residente, un dato in sostanziale diminuzione rispetto al passato (era 28,4 per cento nel 2015), a differenza di Paesi come la Francia e la Germania, nei quali il rischio di povertà o esclusione sociale (rispettivamente, 20,4 per cento e 21,3 per cento) è in aumento rispetto al 2015 (+2,0 e +1,3 punti percentuali). Nel 2023 la povertà assoluta resta stabile, ma su livelli elevati. Le famiglie in povertà assoluta sono 2,2 milioni (8,4 per cento del totale), mentre gli individui coinvolti sono circa 5,7 milioni di persone, pari al 9,7 per cento della popolazione residente. Rispetto al 2014, l’incidenza è aumentata di 2,2 punti percentuali a livello familiare e di 2,8 punti a livello individuale.
Istat: in 5 anni retribuzioni cresciute meno della metà dell’inflazione
Nel 2024 le retribuzioni nominali sono cresciute più dell’inflazione, consentendo un parziale recupero della perdita di potere di acquisto del biennio 2021-2022. Alla fine del 2024 la crescita delle retribuzioni contrattuali per dipendente è stata pari al 10,1 per cento rispetto all’inizio del 2019, a fronte di un aumento dell’inflazione (IPCA) pari al 21,6 per cento. Nei primi mesi del 2025 la crescita delle retribuzioni contrattuali è rimasta robusta. È quanto si legge nel rapporto annuale 2025 presentato oggi dall’Istat. L’inflazione al consumo in Italia, misurata attraverso l’indice armonizzato (IPCA), nel 2024 è stata pari all’1,1 per cento, significativamente più bassa rispetto alle altre maggiori economie europee e di 1,3 punti percentuali inferiore alla media della Uem (2,4 per cento). L’andamento dell’inflazione in corso d’anno ha riflesso soprattutto la dinamica dei prezzi dei beni energetici e alimentari, e negli ultimi mesi ha dato segnali di accelerazione, superando in marzo e aprile il 2 per cento: ad aprile l’inflazione acquisita per il 2025 è pari all’1,9 per cento. Nel caso delle retribuzioni lorde di fatto per dipendente stimate dalla Contabilità nazionale (che includono gli effetti degli accordi decentrati e dei cambiamenti nella composizione dell’occupazione), dal 2019 al 2024 la perdita di potere d’acquisto è stata più contenuta e pari al 4,4 per cento in Italia, al 2,6 per cento in Francia e all’1,3 per cento in Germania, mentre in Spagna si registra un guadagno del 3,9 per cento. Il recupero delle retribuzioni orarie in presenza di una produttività in calo ha determinato nel 2024 un aumento del costo del lavoro unitario pari al 5,4 per cento per l’intera economia. Il mark-up si è corrispondentemente ridotto dello 0,8 per cento, pur restando superiore rispetto al livello del 2019.
Crescita 2025 rallenta rispetto ad andamento già moderato
Le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globale, e sono comprese tra +0,4 (Fmi) e +0,6 per cento (Banca d’Italia e Mef). È quanto si legge nel rapporto annuale 2025 presentato oggi dall’Istat. Le prospettive per l’anno in corso sono tuttavia condizionate dalle possibili evoluzioni delle tensioni geopolitiche internazionali che rendono ogni previsione soggetta ad ampi margini di incertezza. L’indice del clima di fiducia delle imprese è sceso nei mesi recenti in tutta Europa, toccando in Italia in aprile il livello più basso da marzo 2021, con un peggioramento più accentuato nel comparto dei servizi, in particolare turistici. E
📘 #RapportoAnnualeIstat: Italia più longeva, meno nascite, occupazione in crescita, persistono disuguaglianze. Un’analisi su economia, società, territorio e generazioni per comprendere il Paese che cambia.#istat pic.twitter.com/QlKG1TVPxs
— Istat (@istat_it) May 21, 2025
Prosegue il calo della popolazione: in Italia 58,9 mln residenti
Al 1° gennaio 2025, la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 934mila unità, in lieve diminuzione (-0,6 per mille) rispetto al 1° gennaio 2024. Prosegue il processo di decremento della popolazione, in atto dal 2014 e ormai strutturale, evidenziando un calo in linea con quello del biennio precedente (-0,4 per mille nel 2023, -0,6 nel 2022). È quanto si legge nel Rapporto annuale 2025 dell’Istat. Il calo della popolazione, spiega l’Istat, riflette la dinamica naturale negativa: il numero di decessi (651mila nel 2024) è superiore a quello delle nascite (370mila), generando un saldo naturale pari a -281mila unità. L’accentuata fase di denatalità, in atto dal 2008, è determinata dalla riduzione delle donne in età feconda, cioè le 15-49enni (diminuite di 2,4 milioni dal 1° gennaio 2008, 11,4 milioni al 1° gennaio 2025), dal calo della fecondità, scesa nel 2024 al minimo storico di 1,18 figli per donna e dal rinvio della genitorialità. Le previsioni demografiche indicano che l’Italia continuerà ad affrontare un calo delle nascite e un aumento della mortalità, con un saldo naturale sempre più negativo. L’incertezza sulle dinamiche migratorie, che potrebbero contribuire a contrastare la crisi demografica, rimane alta, legata a fattori economici e geopolitici. La popolazione residente in Italia, secondo lo scenario mediano, è destinata a diminuire, passando da circa 59 milioni al 1° gennaio 2023 a 58,6 milioni nel 2030 e a 54,8 milioni nel 2050.
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