Milano, 15 dic. (LaPresse) – Telecom Italia è da oggi quasi solo più in mani straniere. L’unico tocco di italianità in un’azienda cardine del Paese sono i suoi amministratori, Giuseppe Recchi e Marco Patuano, oggi sconfitti nell’assemblea degli azionisti. Il nuovo socio di maggioranza relativa Vivendi oggi ha infatti prima stoppato la conversione delle azioni risparmio in ordinarie, che ne avrebbe diluito la quota, e poi è entrato con una prova di forza nel cda con ben 4 membri, tra cui l’a.d. e il cfo, l’uomo dei conti della stessa Vivendi. E’ il segno più evidente di come il presidente Vincent Bolloré punti a fare di Telecom Italia un avamposto fortificato, sfruttando anche la sponda politica nella nostra finanza che gli dà l’essere il secondo azionista di Mediobanca. Con il suo 20,5% di Telecom Italia Vivendi non comanda, ma non ha neanche avversari industriali che possano controbilanciare il suo potere. C’è infatti tanta finanza, fondi e banche tra gli azionisti di Telecom, ma nessuna impresa italiana o del settore tlc. Il mercato però sembra apprezzare la nouvelle vague in Telecom, con il titolo che ha chiuso in rialzo del 5,70% a Piazza Affari.

Il ‘kingmaker’ di giornata è stato Arnaud Roy de Puyfontaine, a.d. di Vivendi, che ha sopportato senza battere ciglio seduto in prima fila, le 7 ore di assemblea, che si è svolta come d’abitudine a Rozzano, a sud di Milano. Sulla conversione delle azioni risparmio in ordinarie Puyfontaine ha spiegato il voto contrario espresso tramite l’astensione “perché vogliamo poter discutere di questa conversione” e “apprezziamo quanto fatto dal board, ma noi come primo azionista vogliamo avere più informazioni in merito”. Ha poi garantito che Vivendi è “investitore di lungo termine” ed “abbiamo grande rispetto di Telecom Italia”, prima di sottolineare come la società “per svilupparsi abbia bisogno di un azionariato stabile”. Dall’altra parte del fiume, il presidente Giuseppe Recchi, che invece ha ribadito come Telecom debba essere una public company, dove interessi della società e degli azionisti sono ben distinti: “Noi siamo spettatori rispetto agli azionisti – ha spiegato Recchi – spettatori attenti al rispetto delle regole e dell’interesse della società, ma rimaniamo pur sempre spettatori”. Recchi ha voluto anche ricordare come “dalla data dell’insediamento di questo cda ad oggi, il titolo della società si sia rivalutato di oltre il 40%”. Cda che secondo Recchi resterà iin carica fino a fine mandato nel 2017. “Vogliamo essere parte di una storia che crea valore per gli azionisti, non siamo in Telecom per motivi finanziari” gli ha però risposto Puyfontaine, aggiungendo che “non siamo qui a nome di parti terze, non abbiamo alcuna discussione in corso con altre società telco” ribadendo come sulla conversione delle azioni risparmio in ordinarie, “noi non abbiamo mai dato supporto a questa operazione” e spiegando che “quello che conta è l’unità di comando, queste sono le regole del gioco e così intendiamo agire”.

A Vivendi è bastato astenersi nella votazione sulle azioni risparmio, avendo il 36% del capitale presente in assemblea, per impedire la conversione in azioni ordinarie che richiedeva i due terzi dei voti. Poco dopo l’assemblea ha approvato l’integrazione del cda con l’ingresso di 4 nuovi amministratori (lo stesso Arnaud Roy de Puyfontaine, il direttore operativo di Vivendi Stephane Roussel, il cfo Hervé Philippe e Felicité Herzog, figlia della scrittrice Maurice Herzog) con un 52% di sì, con parte dei fondi che ha quindi ‘spinto’ i progetti degli uomini di Bolloré, affossando l’alternativa. Gli stessi fondi però, a fine giornata hanno mandato anche un avvertimento a Vivendi, contribuendo alla bocciatura dell’ultimo punto all’ordine del giorno dell’assemblea degli azionisti, che riguardava l’articolo 2390 del codice civile, ovvero il divieto di concorrenza, che per essere aggirato richiede una delega dei soci. Qui non è stato raggiunto il 50%, ed ora i 4 eletti di Vivendi potrebbero trovarsi a dover scegliere se mantenere il ruolo ricoperto Oltralpe, o insediarsi in Telecom. Serviva il via libera dal 50% del capitale presente, ma i sì sono arrivati al 49,7%, 49,4% per i no e astenuti per lo 0,9%. Segno evidentùe, che anche i nuovi padroni di Telecom, per evitare l’Opa che scatta quando si supera il 25% del capitale della società, per comandare davvero dovranno trovare un accordo con i fondi.

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