Torino, 2 set. (LaPresse) – Gli impianti produttivi di iPhone e iPad in Cina inquinano pesantemente. E’ la denuncia dell’Institute of Public and Environmental Affairs (Ipe), una ong che fa parte di una coalizione di organizzazioni non governative cinesi che si occupano di promuovere una catena produttiva verde, la Green Choice Alliance (Alleanza della scelta verde), che si occupa di monitorare il rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente da parte delle multinazionali presenti nel Paese della grande muraglia. In cinque mesi di ricerca e investigazioni sul campo, si legge in un rapporto pubblicato dall’organizzazione, la seconda edizione de “L’altra faccia della mela”, “abbiamo trovato che gli scarichi inquinanti di questa compagnia da 300 miliardi di dollari si stanno espandendo e diffondendo lungo la sua catena produttiva, e stanno seriamente colpendo le comunità locali e l’ambiente”.

“Attraverso le nostre indagini – prosegue il testo – abbiamo scoperto che l’inquinamento di alcuni dei fornitori di Apple hanno già causato forti danni all’ambiente”. Il rapporto cita diversi nomi: Meiko Electronics, Kaedar, Unimicron, Foxconn, Ibiden Electronics. Secondo l’organizzazione vari impianti di queste società stanno contaminando pesantemente fiumi e laghi, mentre altri hanno suscitato le proteste dei residenti delle aree circostanti per via di emissioni nell’ambiente che provocano irritazioni alla pelle, mentre altri ancora sono sprovvisti di filtri per i metalli pesanti. Alcuni, è l’accusa, aggirano deliberatamente la normativa nazionale in materia ambientale.

L’Ipe parla di 27 “sospetti fornitori” di Apple che inquinerebbero oltre i limiti. In effetti la società di Cupertino non ha mai reso nota la lista dei propri fornitori e così le ong la ricostruiscono sulla base delle produzioni che escono dagli impianti. Una scelta esplicita: nel dicembre scorso, alle insistenze delle Ong la Apple ha risposto di avere una “lunga pratica alle spalle di non divulgazione della base di fornitori”, pratica che naturalmente le ha attirato accuse di scarsa trasparenza.

La battaglia tra l’Ipe e la Apple prosegue da tempo. A gennaio l’organizzazione pubblicò la prima edizione del rapporto messo in rete ieri. Prima di allora la Apple, nel suo “Supplier Responsibility Progress Report”, un rapporto che la società di Cupertino pubblica ogni anno proprio per rispondere alle accuse delle ong, scriveva di essere “impegnata ad assicurare che le condizioni di lavoro” nella sua catena produttiva fossero sicure, che la dignità dei lavoratori fosse rispettata e che la produzione fosse compatibile con l’ambiente. Nell’edizione 2011, uscita un mese dopo il rapporto dell’Ipe, la Apple ha cambiato versione. Ora è diventato: “Richiediamo ai nostri fornitori” di realizzare condizioni di lavoro sicure e ambientalmente compatibili. Dopo aver esternalizzato l’intera produzione, la Apple non ha più impianti propri, nemmeno di assemblaggio, dunque l’intera sua produzione viene realizzata dai fornitori.

“Non vogliamo – puntualizza l’organizzazione – danneggiare il brand Apple. Al contrario vorremmo vedere questo tipo di marchio pieno di innovazione, creatività e design, in grado di cambiare, di diventare una forza per la riduzione delle emissioni e dell’inquinamento”. Perciò, è l’appello, “proponiamo ai consumatori di esprimersi con la Apple, per far sentire alla compagnia la voce del pubblico, la richiesta di migliorare la gestione ambientale della sua catena produttiva”.

di Fabio De Ponte, autore di “La mela bacata”, Editori Riuniti, 2011.

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