Il capolavoro di Modest Musorgskij sarà diretto dal Maestro Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten

Si apre con Boris Godunov la Stagione d’Opera 2022/2023 del Teatro alla Scala di Milano. Per la Prima del 7 dicembre ,alle 18, andrà in scena l’opera di Modest Musorgskij, diretta dal Maestro Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten. Le scenografie sono state disegnate da Es Devlin, Ida Marie Ellekilde firma i costumi e Luke Halls i video, mentre le luci sono di Jonas Bogh. Interpreti delle parti principali sono Ildar Abdrazakov nelle vesti del protagonista, Ain Anger come Pimen, Stanislav Tro;mov come Varlaam, Dmitry Golovnin come Grigorij e Norbert Ernst come Sujskij, mentre Lilly Jorstad è Fedor. Il Coro del Teatro alla Scala è diretto dal Maestro Alberto Malazzi.

Per la sua nona inaugurazione di stagione il Maestro Riccardo Chailly ha scelto di dirigere Boris Godunov nella prima versione in sette scene presentata da Musorgskij ai Teatri imperiali di San Pietroburgo nel 1869. L’opera, tra i massimi capolavori del teatro musicale, ha gestazione e storia complesse. Il compositore, nato in una famiglia di proprietari terrieri e voltosi alla musica abbandonando la carriera militare, aveva subìto le conseguenze economiche dell’abolizione della servitù della gleba, riducendosi a una vita incerta e precaria, minata dall’alcol e dall’epilessia.

Conferenza stampa di presentazione della 1° della scala del 7Dicembre 2022
Conferenza stampa di presentazione della 1° della scala del 7Dicembre 2022

Boris Godunov è la sua prima opera, e irrompe sulle convenzioni del teatro musicale del tempo con effetti dirompenti. Il libretto, di pugno del compositore, attinge alla tragedia di Puskin e alla Storia dello Stato russo di Alexander Karamzin per disegnare uno shakespeariano dramma della colpa sullo sfondo del cosiddetto “periodo dei torbidi” (1598-1614), gli anni di anarchia compresi tra la morte di Ivan il Terribile e l’avvento dei Romanov. Per farlo Musorgskij immagina un linguaggio musicale visionario e anticipatore che spezza le forme chiuse dell’opera tradizionale a favore di un’adesione assoluta alla morfologia della lingua russa. Dopo poco più di un anno di lavoro, dall’ottobre 1868 al dicembre 1869, Musorgskij presenta alla commissione dei Teatri imperiali di San Pietroburgo un’opera radicalmente innovativa: divisa in 7 scene, non presenta numeri chiusi, non contiene un intreccio sentimentale, non ha nessuna parte femminile di rilievo ma non prevede neppure un tenore eroico o amoroso. È il cosiddetto Ur-Boris o Boris originario: denso, cupo, profondo. Oggi la Scala lo presenta come titolo inaugurale; allora era decisamente troppo inconsueto per la commissione, che lo respinse con sei voti contro uno.

 Il compositore procede quindi tra il 1871 e il 1872, in un periodo in cui divide la stanza con Rimskij-Korsakov, a una radicale revisione (la cosiddetta “versione originale”) che prevede l’aggiunta di tre nuove scene.
Due costituiscono lo spettacolare “atto polacco” in cui non solo una serie di canzoni popolaresche interviene a smorzare la cupezza generale, ma la voce tenorile di Grigorij (il “falso Dimitri”) trova spazio ed espansione eroica accanto a Marina, il personaggio femminile che mancava alla prima versione. La terza, che rielabora temi della “scena dell’innocente”, sposta il finale dai toni dimessi della morte di Boris alla grandiosa rivolta nella foresta di Kromy. Non solo la continuità è spezzata a favore di una “drammaturgia a quadri” che si sposta tra luoghi e tempi diversi, ma tutta la musica è riscritta attenuando il realismo a favore di un più accentuato slancio lirico. La revisione fu sufficiente a far rappresentare l’opera, che andò in scena al Mariinskij l’8 febbraio 1874, ma non a decretarne il successo. La critica e i colleghi accusarono l’autore di cattivo gusto e ignoranza musicale: di fatto un autentico linciaggio.

La sopravvivenza del titolo sulle scene si deve in buona parte alla revisione completata da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1896, che reinventa l’opera ricoprendola di un’orchestrazione lussureggiante di immensa seduzione ma in netto contrasto con le tinte scabre e severe volute da Musorgskij. Intanto nel 1928 il musicologo russo Pavel Lamm pubblica una revisione critica comprendente le due versioni originali in partitura, rispettose della volontà dell’autore e dei suoi accuratissimi manoscritti. La prima esecuzione assoluta dell’Ur-Boris ha luogo il 16 febbraio 1928 a Leningrado. Una nuova versione è poi approntata da Sostakovic tra il 1939 e il 1940 e va in scena a Mosca nel 1959. La definitiva riscossa esecutiva dell’Ur-Boris dovrà attendere la versione del Kirov diretta da Valery Gergiev nel 1992.

Le diverse versioni del Boris – osserva Franco Pulcini – rispecchiano diversi momenti del sentimento nazionale in Russia: l’Ur-Boris riecheggia la tradizione religiosa e spirituale russa concentrandosi sul tema della colpa individuale con accenti per certi versi analoghi a Delitto e castigo di Dostoevskij. Questo dramma della coscienza assumerà tratti più marcatamente storico-politici nella versione originale del 1874, con l’aggiunta dell’atto polacco. Il rifiuto di entrambe le versioni volute da Musorgskij riflette il senso di inferiorità dei russi ottocenteschi verso la cultura europea e il loro timore di apparire primitivi, brutali, selvaggi. Un sentimento cui offre rifugio il magistero strumentale di Rimskij-Korsakov con la sua tinta fiabesca che attenua la violenza del realismo d’autore. L’epoca sovietica influenza invece la versione di Šostakovic in cui l’atto polacco diviene metafora del timore dell’aggressione esterna provato dai russi negli anni della Guerra fredda.
L’Ur-Boris, con i suoi accenti shakespeariani e la sua riflessione quasi religiosa sui temi dostoevskiani del delitto, della colpa, del castigo inevitabile e della compresenza del bene e del male, presenta più di altre versioni un carattere di universalità.

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