“Cosa significa, in Italia, raccontare una storia queer? Dovrebbe essere come raccontare una qualsiasi storia, ma purtroppo in Italia non è così”. A parlare a LaPresse è Silvia ‘Clo’ Di Gregorio, fotografa, regista e scrittrice che ha pubblicato ‘Un fantastico altrove’, storia fotografica della sua relazione queer, pubblicato da Lyricalmybooks, casa editrice italo-canadese.
Di Gregorio, diventata un volto noto nel mondo della musica per essere stata la protagonista del videoclip della canzone ‘Oroscopo’ di Calcutta, è anche tra le promotrici del primo Vco Pride nel Verbano-Cusio-Ossola, provincia piemontese dalla quale proviene.
“Essendo ancora una tematica abbastanza invisibile, le persone all’interno della comunità LGBTQIA+ sono sottorappresentate, hanno mancanza di diritti all’interno del nostro Paese. Quindi raccontare una storia queer non ha soltanto, in Italia, un significato di raccontare una qualsiasi storia, ma permette di mostrare anche degli angoli e delle fotografie, dei racconti, che normalmente sono sempre state raccontate da persone che non facevano parte della comunità”, spiega Di Gregorio a proposito del suo testo.
“Questo è un problema di rappresentazione che abbiamo sempre avuto in Italia“, aggiunge. “Quando raccontiamo la nostra storia – quella di Silvia e di Samuele Galli – E’ in realtà una storia come altre ma anche una storia sicuramente che incuriosisce. Quello che una persona di solito dà per scontato è che sei una persona etero, sei una persona cis” spiega Di Gregorio. Silvia è nata in un corpo femminile, e oggi si identifica come persona non binaria, mentre Samuele è nato con gli attributi femminili ma ha scelto di fare una transizione di genere. Oggi è un ragazzo. Dunque il primo impatto con la coppia sembra quello con una coppia etero. “In realtà la storia di me e Samuele, che è all’interno di questo ‘Un fantastico altrove’, ribalta un po’ quello che tu pensi che possano essere un ragazzo e una ragazza, perché non siamo una coppia etero-cis classica, anche se passiamo come tale. E non che questa cosa ci debba per forza dar fastidio, per l’amor di Dio, semplicemente non siamo noi, quindi per noi è importante essere visibili, raccontare quello che siamo” spiega ancora Silvia Di Gregorio.

“La nostra storia è sicuramente particolare perché ci conosciamo da quando siamo piccoli, quindi è un archivio fotografico di 25 anni di storia, dal 2000 al 2025, dove all’interno non ci sono soltanto fotografie, ma ci sono anche note messaggi di chat, cartoline che io mandavo a Samuele e quindi una costruzione di quello che è poi una relazione, che poi è sfociata in amore“. Questo archivio è in parte contenuto nel libro, che racconta dunque con delicatezza ma senza filtri l’inizio di una relazione affettiva poi trasformatasi e cresciuta nel tempo.
TORINO LANCIA IL PRIMO CORSO IN QEER STUDIES
Perché la scelta di un libro fotografico per raccontare una storia queer

“Io ho sempre scattato in fotografia analogica da quando sono piccolina e ho sempre realizzato delle piccole mostre, soprattutto in adolescenza” spiega Silvia Di Gregorio a LaPresse. “Poi il mio percorso si è distaccato un po’ dalla fotografia, di quella canonica insomma, per studiare invece tutto quello che è cinema. Passando poi dal videoclip musicale, ai cortometraggi, ai film, alle serie tv, la fotografia è rimasta un po’ più nel cassetto come mia fonte di espressione personale”. “Si tratta di un libro che immagina anche un altrove, perché immagina un ‘fantastico altrove’, una geografia che racconta dei mondi diversi, racconta un punto di vista differente”.
Queer e discriminazioni: “Sono fortunata ma situazione poco rosea”
“Sicuramente il mondo di oggi è abbastanza complesso, mi ritengo abbastanza fortunata perché comunque sono una persona queer, non binaria, ma cis-passing, come si suol dire, e anche etero-passing, nel senso che ho il privilegio che se le persone mi osservano da fuori mi vedono soltanto come una donna etero anche se non lo sono” spiega l’artista a proposito della sua situazione. “Quindi diciamo che il mio corpo è privilegiato e le discriminazioni non le subisco quotidianamente, catcalling a parte”, ma quello purtroppo è un conditio sine qua non di essere una persona che vive tutti i giorni in Italia”. “Purtroppo le nostre vite sono qui e ora”, dice Silvia Di Gregorio, “quindi la situazione in questo momento non la vediamo molto diciamo rosea, non so, però ecco non è un bellissimo periodo“.
“Secondo me per i diritti” è fondamentale “parlare conoscere comunicare mostrare rappresentare perché in ambito politico siamo messi molto male e ad oggi la situazione non può altro che peggiorare con questo governo. Quindi quello che possiamo fare noi è sicuramente divulgare il più possibile e mostrare anche dei lati differenti di ‘Un fantastico altrove’, non ha un approccio pietistico mostra una relazione felice mostra un lieto fine mostra sono una fine ma comunque un percorso di euforia e non di disforia mostra” dice Di Gregorio.
Il suo spirito ‘ribelle’ nasce da lontano: a 11 anni, sentendo la storia della ‘Gerusalemme liberata’ di Torquato Tasso, ha deciso di riscriverla ipotizzando che Tancredi non uccida Clorinda, ma lei sopravviva. Da qui il suo nome Silvia ‘Clo’ Di Gregorio.
“L’altrove che stiamo cercando di creare è un ‘altrove di speranza’ – dice -. Dobbiamo a prenderci tutti gli spazi possibili per narrare storie e anche io odio questo termine ‘normalizzare’ perché implica un altro un qualcosa di ‘non normale’, ma dobbiamo divulgare il più possibile per rendere quotidiane anche storie non plasticamente etero normative“.
Il primo Vco Pride: dove e quando
Il Vco Pride è il primo Pride provinciale che si terrà a Omegna il 6 settembre. “L’abbiamo fondato insieme ad un comitato, io sono all’interno di un comitato bellissimo e pieno di persone con Capofila Arcigay che dal 2006 opera sui nostri territori, quindi veramente da tantissimi anni”, spiega Di Gregorio. “Le persone, ce ne siamo piano piano accorgendo, ci stanno aiutando, ma da tutto quello che è istituzione, a parte il comune di Omegna, non troviamo un vero fattivo economico supporto. La difficoltà sta proprio in un territorio che ci rende molto invisibili, che ci ha sempre reso invisibili e in cui difficile affermarsi”, spiega la regista e fotografa raccontando la vita a Verbania.
“Manca ancora tanta consapevolezza, manca supporto, purtroppo anche il nostro territorio è famoso per essere molto chiuso e ‘invisibilizzante’ – dice -. Quindi noi cerchiamo di dare il meglio e di unirci in questo comitato che è fatto da tantissime persone, associazioni in realtà, approcci politici diversi però che in qualche modo hanno insieme questa idea di portare il primo Pride a Verbania”.
