La proposta dell'Anfols innesca un caso politico. Cosa hanno detto il ministro Giuli e il direttore del Teatro
Il no all’Inno d’Italia del Teatro La Fenice di Venezia in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno diventa un caso. La proposta di registrare l’Inno con l’orchestra e il coro del teatro nel cuore di Venezia, tra Piazza San Marco e Palazzo Ducale, era stata lanciata dall’Anfols (Associazione nazionale delle fondazioni lirico-sinfoniche) e accolta positivamente dal ministero della Cultura. Oggi però è stato lo stesso titolare del MiC, Alessandro Giuli, a frenare di fronte a quelle che ha definito “rivendicazioni quantomeno inappropriate”.
Cosa è successo
A margine del 4° Festival delle Regioni e delle Province autonome a Venezia, Giuli è andato quindi al nocciolo della questione che riguarda i fondi destinati alla realizzazione dell’evento: “La mia idea è che i diritti acquisiti si rispettano sempre. Quindi, i sindacati facciano i sindacati, ma si rendano conto che è realmente stupefacente rifiutarsi di intonare l’inno nazionale se non a fronte di una ulteriore elargizione di 45mila euro“.
“Sono contributi pubblici per cantare l’inno d’Italia. L’Italia è piena di italiani che pagherebbero una cifra simbolica magari, ma pagherebbero per avere l’onore il 2 giugno di intonare l’inno d’Italia, che ci unisce tutti. E oggi mi trovo di fronte a questa stupefacente richiesta, che oggettivamente rappresenta un elemento di distonia e di disunione rispetto all’inno nazionale. E’ una cosa abbastanza grave, secondo me”, ha aggiunto.
“Io – ha sottolineato Giuli – in questo momento non mi sento di promettere trattative economiche sull’inno d’Italia, che ha un valore inestimabile. Rispetto sempre o ho sempre rispettato il lavoro di ciascuno e il valore delle rappresentanze sindacali, ma a fronte di un impegno che il MiC comunque responsabilmente riserva alla Fenice, e sono tanti milioni, circa 45, non mi aspettavo una reazione del genere. E, quindi, su certe cose è complicato anche solo immaginare un negoziato. Mi chiedo e chiedo alle persone che oggi chiedono 45mila euro per intonare l’inno d’Italia se tutto ciò di fronte ai cittadini italiani e alla maestà delle istituzioni è degno o non è degno”.
“Non sono un complottista e non immagino retropensieri. Non credo che se ci fosse un ministro di sinistra sarebbe cambiato qualcosa. Sono profondamente dispiaciuto personalmente come ministro della Cultura che questo sia avvenuto. Non so se sarebbe successo in presenza di un ministro di sinistra e non voglio neanche pensarci, perché sarebbe più deludente ancora lo stato d’animo che mi procurerebbe questo sospetto. E non voglio coltivare il sospetto. Sto ai fatti e i fatti sono abbastanza desolanti”.
Il direttore artistico de La Fenice: “Soldi finiti”
Sul caso è intervenuto anche il direttore artistico del Teatro La Fenice, Nicola Colabianchi, che interpellato da LaPresse a sua volta ha manifestato il suo rammarico: “Sono alquanto dispiaciuto perché La Fenice non potrà far parte di questa manifestazione. Mi dispiace per tale richiesta dei sindacati perché suonare l’inno di Mameli è un onore. Purtroppo non possiamo spendere più soldi di quelli messi in bilancio”.
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